Nase di Davide Reviati
NASE. No-no, non è inglese, la pronuncia non è néis, ma proprio nase: n-a-s-e. Le nase. Provandosi a dare una definizione da vocabolario: nàse, pl. f., termine gergale arcaico. Ancora in uso negli ambienti del sottobosco metropolitano, tra il libertino e l’emarginato, soprattutto nelle zone marittime a nord della Romagna. Indicante ogni femmina fisicamente adulta della specie umana che conservi il suo naturale portato di fascino morboso e sanguigno, al di fuori di ogni stereotipo contemporaneo imperante e non necessariamente osservante dei modelli di bellezza trionfanti nella società del fitness. In origine, apprezzamento lusinghiero ed entusiasta che, nel corso dei secoli, ha assunto una valenza sarcastica e vagamente denigratoria, soprattutto per l’universo femminile che ancora fatica ad accettare la bellezza e l’unicità delle proprie asimmetrie estetiche.
A scanso di equivoci, quel che si potrà vedere al Barnum dal 1 ottobre del 2005 dalle 18 alle 02, è una galleria parziale e non esaustiva, aliena da qualsiasi ansia tassonomica enciclopedica e illuminista. Una galleria di nase che vuol essere un rimando breve e leggero a ciò che ancora esiste e resiste all’omologazione estetica e culturale che ci viene spacciata come verbo supremo e assoluto. O che altre volte invece, cede le armi, finendo schiavo di quei criteri estetici e morali, ma non riuscendo fino in fondo a farli propri, a rispettarli nel dettaglio, salvato in extremis da quella naivité ingenua o meglio virginea, che mi pare, confortandomi, testimonianza vitale irriducibile.
In sostanza, la mostra di queste piccole creature cartacee è un omaggio al femminile, a ciò che amiamo, e altre volte odiamo, in modo viscerale e partecipato. A tratti, lo sguardo può sembrare freddo e distaccato, ma mai, nell’intenzione, c’era quella spocchia derisoria e meschinella che spesso ci coglie quando cediamo alla tentazione di metterci al di sopra delle parti per ridere della vita (degli altri). Si potrebbe dire, non a giustificare la propria coscienza o peggio la propria reputazione, che vorrei conservare la capacità di ridere di ciò che amo, che in definitiva è come ridere di noi stessi.
Per venire a un dato pratico: questa nutrita serie di disegni a china e tempera su carta colorata, sono stati messi insieme nel corso di qualche anno, dal 2002 ad oggi. In modo assolutamente anarchico ho cominciato a schizzare sulla carta i volti e i corpi degli attori, o meglio delle attrici, che hanno popolato le mie notti in questi ultimi tempi, mai pensando a un progetto organico da riservare a tutto ciò. Per piacere personale, e pure per deformazione personale. Voglio dire che ho sempre subito il fascino di un volto, un’espressione, un gesto, più che quello di un bel tramonto, un paesaggio lussureggiante o un giardino all’inglese. Non ne ho fatto comunque un lavoro naturalistico, dedicato a questa o quella, anche se per la verità qualcuno si potrebbe riconoscere abbastanza inequivocabilmente. Quei volti notturni, quelle smorfie vissute eppure pudiche o quell’accavallare le gambe sullo sgabello davanti al bancone del bar, mi son parse cose importanti, movimenti e posture importanti. Capaci di rappresentare universi interi, pur nella loro assoluta unicità, più che rimanere fatti privati e personali di lei o di quell’altra. Credo che Giorgio, barman d’altri tempi e luoghi, ci abbia visto anche questo, o lo spero, vista l’imprevedibilità del suo sguardo. Certo che lui per primo ha colto qualcosa di straniante e forse affascinante nelle nase, stese copiose nella loro quantità sul pavimento del mio studio. Quella notte, o dovrei dire quel mattino, nonostante l’annebbiamento, cominciai a guardarle in modo nuovo e ad avere i primi dubbi su quel che avevo fatto così, di getto.
In conclusione devo dire del Barnum, il luogo che ospita le nase, alcune vere, altre di carta. Bar, pub, club esclusivo, bettola inquietante, salotto letterario, equivoco rifugio cosmopolita, ritrovo di artisti, circo? Non ho ancora trovato una definizione e so che qualsiasi cosa dicessi, non gli andrebbe bene, a Giorgio. E allora, che ognuno trovi la propria, per raccontare lo scenario che ha fatto da palcoscenico di questo teatrino improvvisato e magari un po’ naif, nascosto dietro le sue mascherine da Zorro o i suoi nasi finti.
Davide Reviati