Dal 19 al 26 Marzo 2007
presso la Biblioteca "Renzo Renzi. Cinema e fotografia" della Cineteca di Bologna
Via Azzo Gardino, 65
A cura di Luigi Loia e Marco Lorenzin.
In collaborazione con Cineteca di Bologna e Comune di Bologna
Progetto grafico e allestimento a cura dell'Associazione Culturale Ciclostile
I totem dell'installazione (formato pdf)
Nelle giornate del 26, 27 e 28 giugno del 1976 si svolge al Parco Lambro di Milano la VI Festa del Proletariato Giovanile, organizzata dalla rivista Re Nudo.
L'installazione video propone una narrazione "dispersa" di quelle giornate, lasciando ai partecipanti la possibilità di decidere quali sequenze tagliare e montare. Lo spettatore/regista potrà montare e selezionare nuove sequenze avvicinndosi alle aree indicate che mostrano, a ciclo continuo, il blocco tematico corrispondente, ed hanno la funzione di delimitare e definire lo spazio di un rudimentale studio di montaggio.
Un film sempre diverso, naturalmente, che è soprattutto il tentativo di rileggere, riproporre e reinterpretare il lavoro realizzato dal collettivo di videoteppisti (questo è il nome che si erano dati) che insieme ad Alberto Grifi aveva ripreso nel 1976 le giornate del Festival; un'analisi a ritroso per riscoprire una macchina-cinema complessa come quella messa in piedi negli anni Sessanta e Settanta da Grifi: appropriazione e riuso del già fatto, processo artistico come montaggio, opposizione all'autorità della sceneggiatura e della regia; uno sguardo radicale e d'avanguardia, curioso e inquieto, che è riuscito più di altri ad avvicinarsi e a raccontare le lotte e le trasformazioni di quegli anni, proprio perché viste e vissute dall'interno.
Possiamo quindi parlare di un'intera generazione raccontata attraverso la musica e i concerti? Non proprio: quando iniziano i concerti Alberto Grifi volta le spalle al palco, e riprende quello che avviene intorno. Quello che le riprese dei videoteppisti ci restituiscono non sono le immagini di una Woodstock alternativa, sull'underground e la controcultura in Italia; raccontano invece l'energia e la rabbia distruttiva di un mondo in contestazione e in risposta, una soggettività antagonista agente e protagonista della propria cultura. Il pubblico non fa più da cornice allo spettacolo, occupa il palco, si trasforma in soggetto attivo e attore principale del Festival.
Era quindi necessario liberare le immagini dalla gabbia produttiva, normativa e discorsiva del cinema, e creare uno spazio dove poter cogliere e produrre l'inaspettato, contro l'organizzazione gerarchica del film, a dispetto della regia.
Informazioni e contatti:
Cineteca di Bologna – Biblioteca "Renzo Renzi. Cinema e fotografia"
Via Azzo Gardino, 65 - 40122 Bologna
Tel.: 051 2194826 / 051 2194843
www.cinetecadibologna.it
Associazione Culturale Ciclostile
www.ciclostile.org / www.designradar.it
ALCUNE NOTE A MARGINE DELL'INSTALLAZIONE SUL FESTIVAL DEL PARCO LAMBRO
(tratto dal Catalogo della Rassegna)
Video(tape)pismo
Bene. Questa sera proiettano il film di Alberto Grifi sul Festival del Proletariato giovanile al Parco Lambro di Milano, girato nel 1976; non è la prima volta che si vedono queste immagini; certo, non sono mai apparse in prima serata in televisione; in quegli anni il collettivo di videoteppisti (questo è il nome che si erano dati) che insieme a Grifi aveva ripreso le giornate del Festival, non aveva accettato di addomesticare e domare quelle immagini, condannandole a una comunicazione compressa di trenta secondi, al massimo un minuto, all'interno di un telegiornale RAI. In piena autonomia e libertà, si erano semplicemente rifiutati di vendere il loro materiale. Tuttavia, il film è stato visto più volte, ha partecipato a diverse rassegne, ha attraversato cinema e centri sociali, spazi più o meno attrezzati.
Anche questa sera entrano i primi spettatori, la sala si riempie, lentamente. Si abbassano le luci e inizia la proiezione. Ancora qualche voce ostinata – ssst... silenzio! – bisogna stare in silenzio, al buio, possibilmente fermi.
Scorrono le prime immagini, i minuti passano, ma chi ha visto in passato il film si accorge che c'è qualcosa di diverso, alcune sequenze sono cambiate, altre mancano, o sono montate diversamente. A qualcuno viene un dubbio – non sarà il solito trucco, l'espediente inventato dalle grandi case di produzione per rilanciare e sfruttare commercialmente un film, con un montaggio diverso o l'aggiunta di qualche sequenza mancante? Lo chiamano "director's cut", come se il regista potesse effettivamente prendersi a posteriori la rivincita sull'industria cinematografica. No, in realtà Alberto Grifi ha continuato a modificare i suoi film, ma ha percorso una strada diversa, una proposta radicale estranea a qualsiasi legge di mercato. Cosa direbbe infatti una società di produzione se a distanza di mesi, o di anni, il regista montasse più volte un nuovo film? Perché non farlo? Il profitto, prima di tutto; una dimensione, quella del cinema trasformato in merce, che fa accettare il fatto che l'economia costringa la vita che viene filmata in una dimensione che è appunto quella consentita dal denaro. Allora ecco che la vita reale si comincia a misurare sulla falsariga dell'economia e da quel momento il linguaggio della vita si trasformerà nel linguaggio del denaro che ha la pretesa di dare significato a tutta la vita trasformandola in merce. Un meccanismo dal quale Grifi cercherà di uscire, per esempio usando (tra i primi in Italia) il videoregistratore: all'epoca dei cinegiornali liberi, nel fare controinformazione con la pellicola ci rendemmo conto che i costi enormemente più alti della carta da ciclostile ci costringevano a confrontarci con problemi produttivi decisamente alienanti (...). Usando il videoregistratore abbiamo scoperto che siccome il nastro costava praticamente niente, si potevano aprire spazi di libertà.
Ma torniamo alla proiezione. Chi invece non ha mai visto il film (i film) montati da Alberto Grifi sul Festival del Parco Lambro, e guarda per la prima volta le immagini, probabilmente si aspetta di vedere una situazione come quella descritta da Andrea Valcarenghi (fondatore della rivista Re Nudo e uno dei principali organizzatori del Festival) per l'edizione dell'anno precedente, quella del 1975: centomila persone in ovazione e in silenzio raccolto davanti al palco, con il gioco dei riflettori che illuminavano il mare di corpi fin sulle colline circostanti... Passano i minuti, ma nel film dei concerti non c'è traccia; il palco non si è dissolto, anzi, lo vediamo in costruzione; ma quando iniziano i concerti Alberto Grifi volta le spalle al palco, e riprende quello che avviene intorno. Ma come, non dovevamo vedere le immagini di una Woodstock alternativa, sull'underground e la controcultura in Italia? Un'intera generazione raccontata attraverso la musica e i concerti? In realtà è cambiato qualcosa, il pubblico non fa più da cornice allo spettacolo, ma diventa protagonista, occupa il palco, si trasforma in soggetto attivo e attore principale del Festival: Inizialmente il lavoro era stato finanziato dai discografici che puntavano alla realizzazione di un film-concerto, spiega Alberto Grifi, ma successivamente il film registra la contestazione da parte dei giovani proletari degli spettacoli musicali e di tutte le merci che gli organizzatori contavano di vendere.
Queste sono solo alcune delle domande che, indirettamente o consapevolmente, chi si occupa di cinema o chi assiste per caso alla proiezione, è costretto a porsi davanti alle immagini innovative, libere e insubordinate del Parco Lambro.
La curiosità e l'abilità artigianale di Alberto Grifi nel costruire nuovi macchinari (dalla manipolazione di lenti, prismi e specchi deformanti all'uso di diversi dispositivi di illuminazione; dal vidigrafo costruito per portare il video di Anna su pellicola al più recente macchinario lavanastri per restaurare i videotape usurati) poneva una sfida per riattualizzare questa creatività con gli strumenti che l'informatica e le tecnologie digitali oggi ci offrono, sulla traccia di quella che è stata definita "etica hacker", che il regista ha in qualche modo anticipato: «una filosofia di socializzazione, di apertura, di decentralizzazione e del mettere le mani sulle macchine a qualunque costo, per migliorarle». Da qui è partito il tentativo di rileggere, riproporre e reinterpretare il cinema di Alberto Grifi, un'analisi a ritroso che ci porta sicuramente a un altro cinema, un cinema ancora da costruire e ripensare. Da qui è partito il tentativo di rileggere e reinterpretare le immagini del Parco Lambro, girate in bianco e nero su videonastri a bobina aperta, consumati dal tempo ma ancora in grado di raccontare la forza, l'energia e la rabbia di un mondo in contestazione e in risposta, una soggettività antagonista agente e protagonista della propria cultura.
L'incontro col cinema di Alberto Grifi: Verifica incerta e Anna
Il gioco proposto dall'installazione è piuttosto semplice: invece di montare un nuovo film sul Parco Lambro, utilizziamo il girato originale del Festival, lasciando che siano gli spettatori a costruire ogni volta un film diverso. La sala è illuminata per consentire alle persone di muoversi, discutere e parlare, oppure sedersi e vedere comodamente le immagini; le voci dei partecipanti si sovrappongono a quelle delle riprese, magari un commento, riaffiora un ricordo, perché reprimerlo? Si invita insomma lo spettatore a uscire da uno stato di ricezione passiva delle immagini, a relazionarsi con l'ambiente circostante e con le altre persone; la percezione dello spazio non viene annullata, ma provoca e spinge i partecipanti a costruire e scegliere ambiti di fruizione diversi.
Tolti i panni di semplici spettatori, possiamo avvicinarci alle immagini del Parco Lambro e partecipare alla costruzione del film: nella sala, oltre al tradizionale schermo cinematografico, sono presenti sei piccoli monitor. A ogni monitor corrisponde una diversa sezione tematica delle immagini del Festival, della durata di 1-2 ore ciascuna. Le immagini sono così suddivise:
1 - Il progetto iniziale del festival
2 - L'irruzione del proletariato giovanile... i desideri
3 - L'irruzione del proletariato giovanile... i bisogni
4 - L'irruzione del proletariato giovanile... la droga
5 - La lotta delle donne
6 - Il Parco Lambro trent'anni dopo: le interviste
All'interno della sala, lo spettatore/regista può montare e selezionare nuove sequenze avvicinandosi ai monitor, che mostrano a ciclo continuo il blocco tematico corrispondente, e hanno la funzione di delimitare e definire lo spazio di un rudimentale studio di montaggio. In questo modo lo spettatore interagisce in tempo reale con la proiezione: si avvicina a uno dei monitor, e con lo spostamento del corpo attiva e seleziona la sequenza da proiettare sullo schermo principale, che diventa in quel momento "il Film" sul Parco Lambro; un film sempre diverso, naturalmente, che continua, sviluppa e moltiplica quanto ha fatto Grifi in tutti questi anni, smontando e riassemblando i suoi film.
In questo modo i partecipanti possono seguire un vero e proprio processo di frammentazione, disseminazione e ricomposizione dell'immagine. Niente di nuovo, naturalmente, tanto che lo stesso Alberto Grifi, insieme a Gianfranco Baruchello, aveva proposto nel 1964 con Verifica incerta la distruzione e il rimontaggio dissacrante di circa 150 mila metri di pellicola, cioè 47 film di consumo degli anni ‘50 e ‘60 (per lo più cinemascope commerciale americano), acquistati come rifiuti destinati al macero: appropriazione e riuso del già fatto, processo artistico come montaggio, la sceneggiatura come punto di arrivo e non di partenza, ma soprattutto il sottotitolo del film, Disperse Exclamatory Phase, si riferisce all'operazione che avrebbe dovuto seguire la proiezione di Verifica incerta: il film doveva essere nuovamente distrutto e gli spezzoni di pellicola distribuiti tra il pubblico. Questa idea non fu realizzata, e oggi è ancora possibile rivedere il montaggio originale del film.
La digitalizzazione (in bassa risoluzione) di una parte delle riprese del Parco Lambro, ha permesso di riproporre al pubblico questa operazione, rinunciando al carattere distruttivo del gesto pensato per Verifica Incerta, ma conservando i caratteri di costruzione narrativa "dispersa"; a partire da una prima operazione di assemblaggio del girato originale nelle sei aree tematiche sopraindicate, infatti, sono gli spettatori a decidere quali sequenze tagliare e montare.
Il processo di sottrazione di potere e di trasferimento del controllo sul racconto cinematografico, in opposizione all'autorità della sceneggiatura e della regia, viene ripreso e teorizzato con maggiore enfasi da Alberto Grifi in un film-manifesto degli anni Settanta, Anna, girato con Massimo Sarchielli nel 1972. Come racconta lo stesso Grifi, durante la lavorazione del film, usando il videotape, i controlli amministrativi sul set si erano allentati ed è successo quello che la regia non aveva previsto: un giorno, mentre si girava, Vincenzo, elettricista del film, è entrato in scena e ha fatto, mescolata ad un racconto sulle lotte operaie, una dichiarazione d'amore ad Anna. Un operaio destinato a restare fuori campo, fuori dai significati, ha mandato per aria i piani della regia. Contro i falsi ruoli che la regia aveva prestabilito, contro il moralismo pietistico con cui veniva trattata Anna. Vincenzo ha portato i problemi reali della sua vita, ha portato l'amore (…); disobbedendo alle regole del film, disobbedisce al ruolo che lo esclude dalla gestione del film. Uscendo dall'ombra ed entrando in campo, vi ha portato l'amore che la regia non era stata capace di programmare (…). Anna e Vincenzo con questa microscopica azione esemplare da commando sottoproletario, ritrovando tutto il piacere della disobbedienza, della rabbia, del rifiuto, si scrollano di dosso ciò che gli impedisce di vivere: in breve, il film. Questa azione spontanea prelude all'invenzione della vita, oltre e al di là del film. Ecco, a questo livello si può dire che Anna cambia il cinema nel senso che è la registrazione del cambiamento di quelli che hanno fatto il film. Non è un film che la regia ha girato sulla disobbedienza. È, al contrario, la registrazione della rivolta di attori e maestranze conto il film, a dispetto della regia.
Con l'installazione video sul Festival del Parco Lambro si è cercato di estendere il gesto antiautoritario del film non solo ad attori e maestranze, ma al pubblico stesso: liberare le immagini dalla gabbia produttiva, normativa e discorsiva del cinema, e creare uno spazio dove poter cogliere e produrre l'inaspettato, contro l'organizzazione gerarchica del film, a dispetto della regia.
Tutti protagonisti, nessuno spettatore
La progettazione di questa installazione è stata soprattutto una splendida lezione di cinema, grazie ai suggerimenti, le critiche e i consigli di Alberto Grifi e Flavio Vida, due videoteppisti che hanno accettato di discutere e riproporre il lavoro fatto dal loro collettivo più di trent'anni fa; indica il punto di arrivo di un insegnamento che il progetto qui proposto realizza solo in parte: una ricerca portata avanti da Grifi nel corso degli anni Settanta che arriverà alla definizione di un tempo di lavoro, nel cinema, in grado di sperimentare e di vivere il tempo, le lotte e le passioni, ma anche la monotonia della vita quotidiana. Manipolare i linguaggi, costruire una vita più bella in moviola, afferma Grifi, vuol dire rinunciare a vivere (...). La questione dei nuovi linguaggi è un falso problema: solo una vita nuova, autentica e non vissuta esteticamente, si esprimerà con linguaggi nuovi. Porta quindi alle estreme conseguenze l'idea delle avanguardie, di un annullamento dell'opera nel vivere e nel fare quotidiano.
Tuttavia, abbandonare la macchina da presa e descrivere la vita con quella che a quei tempi era una nuova tecnologia, il videoregistratore portatile, non significava per Alberto Grifi abbandonare il cinema; era piuttosto la possibilità, o la logica conseguenza, di una scelta: dedicare tutto se stesso a una (con)ricerca in grado di attraversare e interrogare le «diverse forme di consapevolezza (lotte, esperienze di vita e di aggregazione), in cui la partecipazione scientifico-politica di base è resa possibile dalla presenza teorico-pratica nelle situazioni di lotta». Questo è stato il punto di arrivo di una ricerca cinematografica in grado di creare uno sguardo radicale e d'avanguardia, curioso e inquieto, che forse è riuscito più di altri ad avvicinarsi e a raccontare le lotte e le trasformazioni di quegli anni, proprio perché viste e vissute dall'interno: ci sembrava chiaro come, al momento di fare controinformazione, non fosse più tanto importante filmare e contare i pugni chiusi che sfilavano per le strade ricalcando il modello di tutti i film di regime. Mi sembrava che si potesse fare una cosa ben diversa, più importante e necessaria: capire che cosa succedeva nella testa di quei compagni che scendevano in piazza… analizzare e lavorare insieme per il cambiamento dei comportamenti all'interno del progetto rivoluzionario.
L'interazione e lo scambio con le persone, con chi ha partecipato in passato al Festival e con chi oggi (ri)vede quelle immagini sono in parte riportati all'interno dell'installazione video sul Parco Lambro, attraverso un invito/provocazione che viene fatto ai partecipanti, di giocare con le immagini per uscire dal ruolo di semplici spettatori e diventare soggetto attivo nella costruzione del racconto. Tutto però rimane ancorato su un piano di pura simulazione o, appunto, di gioco. Il tempo e lo spazio dell'interazione e del racconto sono separati dal tempo e dallo spazio della vita reale.
Torniamo invece a quello che avviene nel 1976, durante le giornate del Festival del Parco Lambro, quando gli spettatori si riappropriano del palco e risolvono a loro modo questa separazione tra arte e vita; si è spesso parlato, a proposito di quel movimento, di un ultimo capitolo della storia delle avanguardie (Umberto Eco, 1983), o di un'avanguardia di massa (Maurizio Calvesi, 1978). È difficile sostenere che il Festival del Parco Lambro si sia effettivamente trasformato in uno "spettacolo dadaista di massa": una contestazione che partiva dai bisogni reali (abbassamento dei prezzi, discussioni assembleari) non ha aspettato il gesto derisorio, la provocazione o l'aggressione, lo stupore o la meraviglia per esprimersi o per smontare lo spettacolo. Tuttavia, è vero che nelle serate dada del Cabaret Voltaire non si andava più in una sala per ascoltare e guardare, tranquillamente seduti in una poltrona, e poi uscire come prima, due o tre ore dopo: «Ormai lo spettatore deve sentirsi partecipe, deve poter approvare o protestare, intervenire se si dà il caso, ma non deve mai considerarsi estraneo allo spettacolo che si svolge davanti a lui, perché è vita, è la sua vita».
Per capire cos'è successo al Festival del Parco Lambro nel 1976, può essere utile citare quanto scriveva un anno prima il Nucleo Autonomo di Quarto Oggiaro sull'occupazione del palco durante un concerto al Palalido di Milano: «Oggi l'attacco è più preciso, più cosciente: vuole abolire i "ruoli" e vuole liberarsi della "passività". Vogliamo diventare tutti noi i protagonisti delle nostre situazioni e di conseguenza della nostra vita nella sua totalità! Noi ci rifiutiamo di essere la parte passiva dello spettacolo. Assistere ad uno spettacolo "tradizionale" vuol dire consumare una situazione già scontata, inscatolata, chiusa, creata per farti contemplare il divo di turno e succhiarti i soldi. Ci neghiamo come spettatori, in questo modo si nega lo spettacolo».
Non è dato di sapere se avrebbero accettato l'invito/provocazione di questa installazione video. Probabilmente si sarebbero scagliati contro la separazione tra arte e vita, tra gioco e realtà, ma invece di limitarsi a scomporre il linguaggio, avrebbero smontato computer e telecamere, magari lasciando una risata liberatoria per seppellire l'artista e la sua opera.
Un ringraziamento particolare a tutto il collettivo di Cox18, della Libreria Calusca e dell'Archivio Primo Moroni, che per tre settimane, dal 2 al 20 novembre 2005, ha supp(sopp)ortato e costruito pazientemente il progetto dell'installazione video, all'interno di BHAP - Beat, Hippy, Autonomi, Punk, all'assalto del cielo, una mostra sulle controculture e i movimenti, unica per la ricchezza e la complessità di racconti ed esperienze che è riuscita a raccogliere.
Un ringraziamento ad Angelo Rastelli per il video di alcune interviste riportate nell'installazione. Il documentario di Angelo Rastelli sul Festival del Parco Lambro, Nudi verso la follia (2004), ha anche permesso di recuperare alcune immagini a colori dei concerti, girate da una troupe che non lavorava con Alberto Grifi. Non ce ne abbiano i videoteppisti per questo "colpo di mano", una vera e propria opera di restauro (ma anche di restaurazione), un ritorno alle forme di organizzazione tradizionali del racconto di un film-concerto: agli spettatori decidere se proiettarle o meno.
Marco Lorenzin