CESKO – FINTERSPOONE

Quello che sappiamo di questo autore lo leggiamo nell'"about" presente sul suo sito/portfolio: classe '73, Roma come città di nascita; formazione artistica strettamente legata al graphic design e all'illustrazione. 4 anni spesi, tra il 2000 e il 2004, a produrre campagne pubblicitarie come direttore artistico e la scelta, a partire dal 2004, di concentrare sforzi, idee, progetti e creatività nel campo specifico della illustrazione.
Una esposizione personale presso Mondo Bizzarro Gallery e soprattutto il catalogo "Finterspoone Hotel" (Mondo Bizzarro Press) che raccoglie la sua produzione artistica che corre lungo l'asse temporale che va dal 2000 al 2005 , ci offrono l'opportunità di approfondire opera e opere di questo autore.

Una domanda d'obbligo per cercare di giocare a carte scoperte, almeno un po', in questo gioco di visioni dall'immaginario pop: chi si cela dietro l'alias Cesko? Vorremmo sapere qualcosa di più del tessitore di trame a linea semplice che si nasconde tra le immagini di "Finterspoone Hotel".

Ecco, giusto per essere laterali, sorriso mezzo imbarazzato… Dietro Cesko c'è un ragazzo di 32 anni che assomiglia ai personaggi che inventa, un tipo dalla faccia parecchio ovale, attratto dal grottesco e dal surreale, ma anche da quella specie di ibrido tra disegno, design, illustrazione e fumetto. Il nome Cesko - brutta cosa in tempi di linguaggio s.m.s. a 120 caratteri - deriva dalle solite storpiature che attraggono tanto i genitori e gli amici dei genitori: chicco, cecco, checco. Il mio nome è Francesco. Ma ormai è troppo tardi, una specie di errore adolescenziale. Finterspoone è il nome di un'azienda inglese, attiva nella seconda metà dell'ottocento, specializzata nella produzione di cioccolata alla senape, un poster bizzarro che vidi in bar, vicino Urbino; chiesi al proprietario se potevo averne uno anch'io, ma mi disse che era una cosa di famiglia e, che aveva per lui, lo stesso valore dell'albero genealogico che stava appeso due quadri più in là. Ancora oggi mi chiedo cosa volesse dire, mica scherzava.

Immaginare, disegnare, realizzare, esporre. Il procedimento potrebbe essere, teoricamente parlando, lineare. Spesso però i passaggi sono complessi, interrotti e poi ripresi, salti in avanti, strappi, ricerca continua di stile e linguaggio. Spesso ci vuole una buone dose di coraggio nel leggere e nel lasciarsi leggere da altri (ha! le chiavi di lettura), in altri casi il tutto materializza in maniera del tutto naturale. Da qui una domanda che richiama un'altra domanda e un'altra domanda ancora: come nascono e si concretizzano, generalmente, le tavole che poi diventano storie narrate attraverso le immagini che alla fine del giro (parziale) si trasformano in materiale per gli occhi, come è successo nella tua personale presso Mondo Bizzarro Gallery?

Detesto le bozze e le brutte copie. Sono pigro, impaziente e ho la tendenza a trarre conclusioni affrettate. Queste ultime, a volte, pur rimanendo in superficie, pervadono e sintetizzano l'essenza di un'idea o di un concetto, o di un frammento di un oggetto, che osservato con attenzione, non avrebbe nulla da dire. Credo che il mio lavoro rimanga sull'uscio, hai presente quando ti metti la maschera e guardi a pelo d'acqua il fondale? Una cosa simile, non senti la necessità di scendere a candela, hai lo strumento giusto per apprezzare la prospettiva, se ti avvicini troppo, perdi l'insieme e tutti i dettagli contemporaneamente. Sono privo di costanza, ma ho affinato il metodo col tempo, di solito apro il portatile senza avere nessuna idea pronta da sviluppare, munito solo di qualche spunto, talvolta scaturito da particolari balzati alla mente dopo aver visto qualcosa di dissonante. Creo di notte per lo più, non alla ricerca del silenzio visto che vivo in campagna, ma perché ogni giorno che passa mi rendo conto che devo essere scarico, stanco forse, non sono uno di quelli che ottimizzano le proprie energie. Lavoro a mano libera con il mouse, cerco di rispettare quelle poche regole che mi sono imposto, ovvero non usare nessun altro strumento oltre la matita di Illustrator , niente sfumature, niente curve, e ovviamente niente filtri, un dogma vettoriale casereccio, ci riesco quasi sempre...
Parto da un centro immaginario fittizio, sapendo che avrò bisogno di circoscrivere il tutto, le stanze sono nate così, senza volerlo, disegnando piccole suggestioni, improvvisando, provando per contrasti e incastri. Mi viene naturale lavorare per frammenti, trovo divertente muovermi tra i simboli e vedere come il loro significato muta a seconda del contesto in cui li inserisco, forse sarà lo strumento che uso che mi ci spinge, o forse è un modo per alzare bandiera bianca, gestire la complessità, il conflitto e l'eterogeneità che mi circonda.
Almeno qui dentro. Ci sono rare situazioni invece, in cui parto da un'idea e la sviluppo velocemente, prima che perda di significato. Fatico a pensare a progetto. Ci vuole una buona dose di incoscienza, più che di coraggio, nell'esporsi senza usare trucchi da quattro soldi, mi piacciono quei racconti che hanno una chiusura sospesa anche se apparentemente chiusa, le storie di Carver per esempio, dove l'inizio della faccenda comincia quasi sempre, subito dopo un evento o quando l'azione è ancora in corso.
I miei lavori sono di formato abbastanza grande, non scendono mai sotto il metro, una volta stampati (uso la lambda), appaiono per la prima volta nella loro forma naturale, pensati per essere di quelle dimensioni, con quelle proporzioni. Quello è il primo strappo, perché comunque il salto è abissale: stanno lì, è finita, montati su forex, il lavoro non può più essere modificato, e non mi riferisco ad eventuali imperfezioni… Il tutto si materializza in modo del tutto naturale, fino al secondo strappo, quello più rumoroso, quando i pezzi sono al muro, insieme a me.
È il momento che aspetto e temo allo stesso tempo, il terzo strappo, arriveranno gli ospiti.

Che tipo di feedback hai ricevuto dalla persone che hanno potuto partecipare in visione e relazione alla tua mostra "Killer Pop" presso la galleria capitolina? Sguardi, parole, critiche, note, apprezzamenti, balbettii...

Premetto che Killer Pop è stata la mia prima mostra/ Mostra. Detto questo, mi ricordo di essere arrivato mezz'ora dopo l'ora decisa per l'inaugurazione, con una moretti in mano, mentre dentro c'erano le bottiglie di vino rosso e una dozzina di persone. Per fortuna nessuno mi ha notato. Non ero agitato, no. Tremavo. Visto che nessuno avrebbe sospettato che fossi io "l'artista", Alessandro Papi - il papà di MondoBizzarro - ha iniziato a presentarmi ad alcuni presenti, alcuni alternavano in continuazione la loro attenzione dal pezzo alla mia figura, e viceversa. Stranamente quasi nessuno mi ha fatto domande sul contenuto, invece in molti si sono interessati alla tecnica e al tipo di stampa. Tendenzialmente i commenti sono stati positivi anche se un po' generici, vedevo gruppetti che commentavano sottovoce ma non si esponevano al contatto diretto, quand'è così, io passo automaticamente in versione "Zelig" (il film) e la storia trova l'epilogo in una distanza abissale tra me e i presenti. In alcuni casi ho risposto a domande specifiche su un determinato pezzo, in altri casi ho cercato di svelare (aumentando la confusione del soggetto) il significato di elementi antropomorfi, altri trovavano somiglianze con altri illustratori e mi chiedevano se li conoscevo. Quasi mai li conoscevo.
Non ho potuto fare a meno di notare, almeno in quel contesto, come alcuni considerino ancora il "digitale" come un surrogato, come qualcosa di "facile", come se un acrilico o un olio avesse più dignità a prescindere da ciò che viene raffigurato, questo è un discorso troppo lungo da affrontare, un'area sensibile, l'ho tirato fuori solo per raccontarti un feedback subliminale che ho percepito in alcuni momenti. Mi piaceva come alcuni scovavano dei significati in aree in cui non ero assolutamente passato, era bello anche vedere che ce n'era per tutti, sembrava sbucciassero cipolle, ognuno il suo strato. Forse questa è stata la cosa che mi ha dato più gioia. Quello che io intendo per pop.

Il fatto che una galleria importante ma, ancora prima, una esperienza direi fondamentale in Italia come MondoBizzarro si sia occupata del tuo lavoro attraverso una mostra e successivamente con una pubblicazione (decisamente ben curata) ci permette di saltare a piè pari l'anacronistico antagonismo tra "arte" e "arte digitale" che dir si voglia; rimane la produzione di atti comunicativi e relazioni che si sviluppano attraverso il segno, la grafica, l'illustrazione, la pittura, il sonoro. I supporti e le applicazioni, in questo senso, giocano un ruolo tutt'altro che secondario. Prima parlavi dell'utilizzo del forex come "base" del montato; hai già in mente o stai già verificando altri possibili materiali, strumenti, logiche per futuri set up di mostre?

Alessandro e Gloria di MondoBizzarro, hanno puntato sul mio lavoro nonostante questo si discostasse, per tecnica e supporto, da alcuni standard che innegabilmente esistono in quell'ambito: sono arrivato da loro con due stampe caricate sul portapacchi e, appena le ho scartate, ci hanno visto subito un libricino, che dire. Successivamente mi hanno lasciato piena libertà riguardo la progettazione e lo sviluppo. Ho usato il forex come supporto per le stampe, anche se all'inizio avrei voluto montarle su alluminio, l'alluminio però, costava troppo, così ho ripiegato su un tipo di supporto più "morbido" ma al tempo stesso resistente, nel tempo. Adesso sto cercando di razionalizzare un'idea che si è materializzata subito dopo aver disegnato le prime cinque Room, ovvero la possibilità di trasformarle in location fisiche, delle stanze vere, da osservare ma anche da esplorare, qui l'aspetto tecnico condiziona lo sviluppo dell'idea, perché si va oltre l'illustrazione e il nodo si stringe attorno ai materiali e alla metodologia di lavoro, non ho ancora trovato la soluzione, ma arriverà.

La storia delle stanze nasce come costruzione di frammenti riletti in una narrazione in cui ogni stessa stanza ha, a mio avviso, una doppia valenza: vive per conto suo, racconta la sua storia ma, allo stesso tempo, si lega ad un percorso narrativo più complessivo (che si evince dal libro in quanto tale). In questo modo l'hotel diventa un espediente e non una chiave di lettura. L'utilizzo delle parole è circoscritto alle introduzioni ai "capitoli"; rafforzano, secondo me, la già forte relazione che si instaura con l'immagine; le parole fanno da collante tra le stanze. Pensi che si potrà allargare l'utilizzo della scrittura nei tuoi lavori, all'interno delle stesse tavole, oppure le illustrazioni rimarranno "pulite", lasciate al solo segno grafico-digitale?

I titoli che "introducono" i capitoli, li ho immaginati sempre come incipit immaginari, come inviti ad entrare per continuare la lettura, in questo caso visiva. Vedere coabitare, nello stesso luogo, una scrittura che sia indipendente dalle immagini, che non sia didascalica, che abbia una sua voce distinta, l'ho sempre desiderato e spero che questo prima o poi accada. Mi viene da dire una linea di basso, non pensando ad una scrittura che supporta e basta, ma ad un vettore che scandaglia dove l'occhio si ferma, penso al basso di Mingus.

Hai mai pensato ad una colonna sonora per le tue stanze e per le storie future a venire? Immagino di sì; immagino che ci siano musicisti e musiche che accompagnano il tuo lavoro o parte di esso o parte della tua giornata. Sfogliando il tuo libro e ripercorrendo prima in senso regolare la successione della numerazione delle pagine e, poi, in modo random figure, ambienti, espressioni, ho notato come il tutto "suonasse" bene con i pezzi di Okapi; nel tuo caso, invece, quali sono i nomi che sentiresti di fare sia come "compagnia" del tuo lavoro che, eventualmente, come influenza interdisciplinare?

Quando lavoro sì, ascolto musica. Ascolto di tutto a dire il vero, (non conosco purtroppo Okapi, domani lo comprerò). Il jazz mi piace, i Radiohead mi piacciono molto e sono anche "funzionali" in fase di creazione. Non saprei farti nomi, ci affiancherei qualcosa che suoni incoerente rispetto all'aspetto visivo, ma non so tradurlo in un esempio. Se fosse per me, ci metterei sotto roba "apparentemente" semplice, come "When lights are low" di Miles Davis, oppure Thelonious Monk. Che dire, non sono un esperto di musica, nel senso che non seguo assiduamente scene e generi, ma mi piacerebbe collaborare con musicisti (aldilà del genere), e lasciarli improvvisare o creare liberamente, questo sì.

So che la domanda in questione è un classico ma (metto le mani avanti…) trovo possa offrirci qualche spunto interessante sia per leggere tra le righe del tuo lavoro che per imparare a conoscere il lavoro di altri artisti ed autori. Quindi, per quanto riguarda le "influenze che influiscono" in ambito strettamente legato alla illustrazione, il tuo campo di indagine principale, quali sono i nomi che senti vicini al tuo lavoro per realizzazione, percorso artistico e ricerca?

Cercherò di non stilare una lista di autori -anche perché sarebbe davvero lunga - che mi hanno influenzato e da cui ho attinto, consciamente e inconsciamente. Ma continuando a giocare a carte scoperte, non posso evitare di citare "La morte malinconica del bambino Ostrica" e "Nightmare before Christmas" di Tim Burton, che mi hanno traviato per stile e vena creativa. Mi capita poi di rimanere "sotto", è successo con Chris Ware - come si fa a rimanere impassibili? Gary Baseman, vidi i suoi lavori per la prima volta nel 1999, in uno di quei tomi/annual, tipo American Illustrator e notai all'istante come il suo lavoro si discostasse con naturalezza dai generi presenti nel volume. Successivamente ho scoperto Mark Ryden, un altro che ne ha fatti fuori parecchi di illustratori e artisti col suo stile, anche se adesso, tutti se ne tirano fuori…
Pian piano, mi sono accorto che una vasta gamma di disegnatori, rappresentava soggetti permeati da quel sapore indefinito che chiamo, forse impropriamente, "gotico triste". Poi ho scoperto quel filone americano definito "neopop", e mi si è aperto un mondo: Elizabeth McGrath per le sue scene e i suoi personaggi, Todd Schorr, Camille Rose Garcia, il mio l'occhio non si abitua mai davanti alle sue cose.
Ci sono poi, autori legati strettamente all'illustrazione digitale, di cui apprezzo lo stile, da questi credo di aver imparato quanto sia importante utilizzare lo strumento per arrivare ad avere una voce originale, : tra questi Jotto, Nathan Jurevicius e il loro vettoriale senza outline. Per mesi mi sono incaponito sulla tecnica, fino a tagliuzzare la pallina del mouse - quando i mouse ci giravano sopra - per cercare di eludere "l'effetto Illustrator", vedevo che il tratto era disturbato, la cosa mi piaceva. Crazy cat. Mammamia. Ci sono i fumetti poi, gli idoli, Andrea Pazienza sopra tutti. Lo sapevo che alla fine avrei redatto una lista eterogenea. Meglio fermarsi qui.

Relativamente al mercato del lavoro, il lavoro dell'illustratore è un ambito circoscritto e, in special modo qui in Italia, anche particolare. Sappiamo che tra il 2000 e il 2004 hai operato in una agenzia di comunicazione e pubblicità e che, successivamente, hai preso la decisione di focalizzare la tua professione sulla illustrazione. Come stanno funzionando le cose oggi? Come promuovi il tuo lavoro e che tipo di feedback ricevi? Che possibilità, porte da aprire, muri di gomma vedi per i giovani illustratori italiani?

Allora…sì, ho avuto la fortuna di lavorare come art director in una grossa agenzia di pubblicità, dove ho potuto sviluppare altri aspetti, sempre in ambito creativo, che poi mi sono tornati utili. Detto tra noi, non mi ha retto di dedicare tutto il mio tempo - perché di quello si trattava - e le mie energie, per assecondare la brama di aziende impegnate a creare bisogni fittizi, ho lasciato lo stipendio fisso, e mi sono buttato nel vuoto. Ho continuato a lavorare come illustratore freelance per campagne, ma come hai anticipato nella domanda, in Italia per gli illustratori non è vita facile. Ci sono le ondate di stili, orde di lavori tutti identici, poi c'è la mancanza di coraggio, cose note su cui non mi soffermo. Non è facile per niente, le occasioni sono poche e l'offerta è smisurata, sempre se uno vuole continuare a perseguire un suo stile, sia formale che di contenuti - i due fattori possono coincidere.
Ho collaborato con alcune riviste, che mi hanno lasciato carta bianca, una tra tutte Internazionale (si può dire?); mi piacerebbe anche illustrare copertine di libri, sto spingendo in quella direzione, il muro di gomma - dura, sì - c'è, eccome.
Cerco di "spingere" il mio lavoro, scrivendo a Design(Radar - sorrido - o partecipando a progetti che possono dare visibilità alle mie opere. Vorrei vivere di questo, ci sto provando, i risultati arrivano, le gratificazioni arrivano, quello che manca a volte, è il vile danaro per pagare l'affitto e tutto il resto.
Sono l'ultima persona a cui chiedere consigli, forse bisogna solo capire quello che si vuole davvero.

Ci sono attività ed iniziative che porti avanti, sempre e comunque nel campo dei progetti di comunicazione visiva, parallelamente al tuo "esercizio" di illustratore?

Il mio "esercizio" di illustratore, purtroppo o per fortuna, coincide con la mia passione. Io e le mezze misure non andiamo molto d'accordo. Sono concentrato su questo, ho deciso di accantonare per un po' il design, il lettering, la grafica insomma. Ma ci tornerò su, ne sono sicuro.

Ultima domanda, un classico doveroso. Quali sono i progetti prossimi-futuri che hai in cantiere?

Ci sono diverse cose in ballo appese, che ovviamente non ti svelerò, per non tirarmi tutta la sfiga del mondo addosso. Dovevo esporre in una galleria parigina, in una collettiva organizzata da Mondo Bizzarro, il 25 aprile, ma la mostra è stata annullata per cause di forza maggiore. Ho un progetto molto ambizioso, che richiede tempo e pazienza: voglio tirare su uno spazio libreria/galleria, dedicato all'arte digitale e non solo, uno spazio espositivo, un canale, una casa per quelli come noi. Sto gettando le fondamenta. Nel frattempo cerco lavoro, disegno e mando roba in giro.