INTERVISTA A SANDRO BINI

(a cura di Boskizzi)

Boskizzi: Caro Sandro, solitamente non ho una costante, nell'affrontare coloro che di volta in volta si sottopongono alle interviste di Design Radar. Però i nostri lettori sanno che la prima domanda è ormai un classico e serve sostanzialmente ad introdurre colui che risponderà alle mie domande. Per cui, parlaci un po' di te, del tuo passato e del tuo futuro, delle esperienze che ti hanno segnato, ...

Sandro: Ho 43 anni, sono nato a Firenze dove vivo e lavoro, sono laureato in Lettere Moderne e credo che la formazione umanistica e letteraria influisca molto sul mio lavoro di fotografo. Dopo varie esperienze in ambito fotografico anche come docente, dal 2001 sono il fondatore e Direttore responsabile di Deaphoto, Associazione Culturale che si occupa di didattica, progettazione e documentazione fotografica. Attualmente mi occupo prevalentemente dell’organizzazione e alla promozione delle attività di Deaphoto, lavorando anche come docente di fotografia e curatore di Mostre fotografiche. La mia ricerca artistica come fotografo è incentrata -come del resto quella di Deaphoto- sopratutto sul sociale e sul territorio,  ed è tesa ad un’indagine (anche poetica ed esistenziale) sulle relazioni fra l’uomo e il paesaggio contemporaneo e sulla dialettica critica fra percezione e fruizione dei luoghi, legata alla contestualizzazione della propria esperienza. Selezioni di miei principali progetti fotografici sono visibili sul sito web, sul blog e su Flickr.

Per quanto riguarda invece la linea didattica, essa  pone in primo piano gli ambiti sociologici e culturali della pratica e della professione e i contenuti concettuali del linguaggio, i rapporti interdisciplinari e i contatti della fotografia con le estetiche contemporanee. I fondamentali aspetti tecnici e formali della pratica vengono subordinati ai temi progettuali delle ricerche e allo sviluppo di una visione critica e di uno stile personale. Per il futuro come Associazione abbiamo diversi progetti interessanti in corso e in fase di progettazione sia per quanto riguarda progetti espositivi che didattici. Per quanto riguarda la Didattica ad aprile, parte l'ultimo ciclo dei Corsi con la novità del Corso di FASHION PHOTOGRAPHY (che realizzeremo nel mese di Giugno) e che dimostra la nostra apertura priva di ogni tipo di pregiudizio verso ogni genere di fotografia. Per quanto riguarda i progetti espostivi a Maggio ci saranno:  una mostra del nostro Staff sull'ex Ospedale Psichiatrico fiorentino di San Salvi (1-16 Maggio), un’interessante mostra finale degli studenti del Corso di Progettazione Fotografica (9-10 Maggio), ancora una mostra dello Staff Deaphoto che documenta l'impatto territoriale dell'allargamento autostradale A1 nel tratto Firenze Sud nella zone di Cascine del Riccio e Galluzzo (23 maggio - 14 Giugno). Tutte le info su www.deaphoto.it. Stiamo lavorando poi volontariamente  proprio in questi giorni ad un importantissimo reportage sull'Ospedale Meyer di Firenze grazie all'invito ricevuto dalla Fondazione Meyer del quale ci sarà un esito espositivo in autunno, e forse, lo speriamo, anche editoriale. Infine è in fase di Progettazione una nostra mostra sul tema della Città contemporanea per il Festival della Creatività di Firenze per Ottobre. Quindi abbiamo tanto lavoro da fare e cerchiamo pur fra mille difficoltà  di portare avanti i nostri progetti e per cercare di fare cultura fotografica e di  promuovere sia il lavoro della nostra Associazione che dei fotografi del nostro Staff. Personalmente poi porto avanti da anni in modo più o meno parallelo dei Work in Progress sulla Periferia urbana fiorentina (I confini della città), uno sulle grandi città europee (Dream Cities) e un lavoro più diaristico sulle notti dei club e dei party (Still's Aurond) che certamente continuerò e di cui spero avere ulteriori possibilità per esporre e magari pubblicare (le gallerie immagini di questi progetti sono visitabili sulla mia pagina web del sito Deaphoto. 

In fine per quanto riguarda  le esperienze che mi hanno segnato, come fotografo devo dire sopratutto la conoscenza del lavoro dei grandi maestri della fotografia, le letture, i films, ma forse ancora di più il rapporto e il confronto con i colleghi-amici dello Staff Deaphoto e senz'altro quello con gli studenti dal quale, contrariamente a ciò che si crede, noi docenti abbiamo sempre molto da imparare se non altro come apporto di freschezza ed energia di visione.

D: Mi rendo sempre più conto di quanta gente approcci il mondo della fotografia dopo studi umanistici o filosofici. Convengo con te quando affermi che questo probabilmente è un bene. A tal proposito, visto che le ultime interviste hanno approfondito anche questo aspetto, ti chiedo: che percorso di studi "ideale" consiglieresti a chi volesse da grande fare il fotografo?

R: Domanda difficile. Dipende che tipo di fotografo. Mi rendo conto che io insieme a pochi altri (sono comunque in buona compagnia) siamo figure un po' atipiche nel panorama fotografico italiano. Io ad esempio lavoro e mi sostengo economicamente certamente nel settore fotografico, ma non posso considerami un vero professionista fotografo a tutti gli effetti in quanto la mia fonte di reddito principale viene dalla mia attività di docente e operatore culturale in ambito fotografico molto meno  da committenze o servizi. Ma mi considero a tutti gli effetti un fotografo, sopratutto perché vivo, penso e mi relaziono con il mondo in questo senso. E questa situazione la considero anche un piccolo privilegio perchè mi permette di realizzare in piena libertà la mia ricerca personale.  Il mercato fotografico anche grazie all'avvento del digitale sta cambiando rapidamente. E mi pare di rendermi conto, almeno dalla mia prospettiva, che solo pochissimi riescono a sopravvivere grazie alla sola attività di fotografi, soprattutto in alcuni settori, documentazione, reportage, fotografia sociale e territorio (quelli di cui ho più conoscenza) in cui è quasi praticamente impossibile salvo, casi rari riuscire a sopravvivere vendendo fotografie. Ecco così che molti fotografi anche interessanti o sono ricchi di famiglia, o si sostengono economicamente anche in altri modi, fuori o dentro l'ambito fotografico. Mi sono accorto che se un giovane entra a far parte di una Agenzia anche importante come fotoreporter non significa automaticamente che riesca a campare di fotografia... Certo rimangono i settori più commerciali tipo la foto di cerimonia, la moda, lo still life ma qui ci sono i problemi degli investimenti iniziali che scoraggiano i giovani non facoltosi. 

Poi c'è la lobby, perchè di vera e propria lobby (anche un po’ classista a dir la verità) delle Gallerie e del Mercato dell'arte in cui si entra anche grazie al proprio pedegree e in cui in Italia i fotografi che possono permettersi di sopravvivere solo con ciò si contano forse sulle dita di una mano. Ma tornando più da vicino al cuore della tua domanda direi che non esiste in ambito formativo un percorso di studi ideale, né tanto meno una ricetta vincente. Per essere un buon professionista in ambito commerciale (moda, pubblicità) penso conti la cultura generale e un buon apprendistato come assistente in qualche studio, non che le scuole siano inutili anzi, ma quelle veramente buone sono poche e purtroppo molto costose e non danno nessuna sicurezza di trovare un lavoro al termine del percorso formativo, e per chi non è facoltoso, stornare un po’ di denaro, dalla scuola alla attrezzatura o al finanziamento di un proprio progetto credo che a conti fatti possa essere più utile, ma si tratta ovviamente di una idea personale. Penso comunque che ognuno dovrebbe trovare da se il proprio percorso formativo ideale, e credo fortemente anche che una scuola possa servire da orientamento, ma che la vera cultura anche in ambito fotografico nasca dal continuo studio e approfondimento personali. Mi permetto solo di dire che a un certo punto la formazione almeno di tipo istituzionale dovrebbe terminare e bisognerebbe darsi da fare per fare della fotografia il proprio lavoro.

D: Credi che in Italia sarebbe possibile mettere in atto i tuoi consigli / percorsi di studio?

R: In Italia la situazione è particolaremente difficile e arretrata. La Fotografia è entrata da poco in maniera timida nelle Università come ancella di qualche corso di laurea (Dams, Architettura) ma manca un percorso formativo strutturato a 360° come in altri paesi europei e negli Stati Uniti. Le scuole private piu famose sono molto care e solo pochi possono permettersele. Ci sono poi i Corsi Brevi, quelli fatti bene, da realtà consolidate localmente come i nostri della Deaphoto e di enti simili, sopratutto al centro nord, che possono essere molto utili per chi si vuole affacciare alla fotografia e approfondire le sue conoscenze con investimenti molto ridotti. Resta fondamentale secondo me, per chi vuole fare ricerca fotografica e non il semplice bravo artigiano la cultura generale, la conoscenza della storia della fotografia abbinata a quella dell'arte, ma sopratutto avere idee e progetti da realizzare e sopratutto voglia di sbattersi e di lavorare con molta pazienza anche all'oscuro e in silenzio. Mentre oggi sorpatutto i più giovani vorrebbero spesso partire e arrivare. Tempo fa ad una proiezione di un suo documentario Gabriele Basilico ad una domanda simile a questa disse che diventare fotografi è "una prova di resistenza", insomma chi la dura la vince, occorre tanta motivazione, passione e amore per la fotografia (attenzione non per le macchine fotografiche!). Bene sono d’accordo con lui e  lo posso confermare con la mia esperienza periferica di in una piccola realtà Associativa che solo adesso dopo quasi dieci anni di duro lavoro sta ottenendo qualche piccola gratificazione come ad esempio questa nostra chiacchierata.

D: Mi interessa sempre sapere chi frequenta corsi di fotografia e perchè. Dal tuo osservatorio privilegiato, sai darmi qualche informazione a riguardo? Cosa si aspetta chi frequenta corsi come quelli organizzati da Deaphoto?.

R: Propenendo corsi brevi per la maggior parte serali (dalle 20 alle 40 ore) il nostro è un pubblico piuttosto eterogeneo, sicuramente interessato alla fotografia ma che è o gia inserito nel mondo del lavoro è quindi fa della passione fotografica qualcosa di più impegnativo di un semplice hobby (soprattutto chi si rivolge ai corsi avanzati) oppure si tratta di studenti universitari.
Ovviamente chi invece ha iniezione di impegnare più tempo e denaro alla formazione fotografica si rivolge alle Scuole triennali.

Anche se penso sinceramente che frequentando tre o quattro dei nostri Corsi si possa riuscire ad avere un’ottima preparazione con un investimento di tempo e denaro assolutamente inferiore e avere una preparazione di ottimo livello. E' infatti quello che succede a molti  dei nostri studenti che dopo un primo corso in genere passano a frequentare anche i corsi successivi. L'età mediava dai 25 ai 35 anni. Per i Corsi Base e i Corsi tecnici (photoshop, camera oscura, fotografia notturna, ritratto in studio, still life) le aspettative sono soprattutto di apprendere un corretto uso dello strumento, anche se poi si ritrovano sempre, in tutti corsi (come già accennato), a confrontrasi sempre con una importante e consistente parte didattica dedicata alla storia e alla cultura fotografica  che riteniamo  indispensabile per lo studio della fotografia e sulla quale insistiamo molto cercando di spostare con fatica ma efficacia il naturale interesse di partecipanti dagli aspetti tecnologici dagli apparati (le macchine fotografiche le attrezzature ecc) ai concetti e alle idee, o come dice Michelangelo (un membro del nostro Staff) dalla "tecnica" alla "tattica" della fotografia. Per un corso atipico, ma assolutamente interessante, come quello di Progettazione Fotografica (di carattere prevalentemente di cultura visiva e di progettazione artistica) le aspettative sono quelle di imparare a lavorare su un progetto di ricerca fotografica dalla fase di ideazione a quella di realizzazione ed esposizione delle immagini. Tutti i corsi prevedono poi un esito espositivo che è assolutamente importante sia dal punto di vista della finalizzazione e valutazione della didattica che gratificante per tutti i partecipanti che hanno la possibilità di esporre il proprio lavoro. In genere registriamo ottimi feedback in uscita dai nostri percorsi formativi. Anche se molto ovviamente dipende dal tipo di impegno e di interesse che ci stanno alla base di chi si iscrive ai nostri corsi.

D: C'è un consiglio che dai sempre ai corsisti e che ti senti di svelare anche ai nostri lettori? Immagino non ci siano ricette magine, ma giusto qualcosa che senti importante e che vuoi divulgare.

R: Per prima cosa mi vengono in mente un paio di "battute" che amo di tanto in tanto lanciare ai miei studenti come provocazione, spero costruttiva. La prima, quando li sento parlare fra loro degli ultimi modelli di fotocamere o degli zoom di grido, é  "qui si parla troppo di macchine fotografiche e troppo poco di fotografia!". L'altra è "ricordatevi che la macchina fotografica è come il cane... va portata fuori!" Al di là dell'ironia che queste frasi possono suscitare in realtà sintetizzano due concetti, e se vogliamo due consigli fondamentali. Il senso della prima frase è ovvio, ovvero il consiglio di interessarsi più alla Fotografia (immagini, autori, concetti, idee, progetti) che agli strumenti per realizzarla, la seconda invece, quella del cane, che può sembrare bizzarra, nasconde invece, secondo me una verità profonda. La macchina fotografica e un mezzo per uscire da noi stessi ed entrare in relazione con il mondo e con gli altri e raccontare questa reazione, per quello assomiglia ad un cane e va portata fuori con noi quotidianamente nella nostra esperienza con la vita reale, deve diventare quasi inseparabile al nostro modo di vivere, non tanto come oggetto "macchina" (anche se non sarebbe affatto male) ma come modo di vedere il mondo in modo fotografico (vale a dire con molta molta attenzione e curiosità). 

Al di là di queste battute, che nascondono la filosofia di approccio anche al mio lavoro, il consiglio è quello di studiare il lavoro dei maestri della fotografia, vedere le loro immagini e quello confrontarsi continuamente con il lavoro degli altri fotografi, poi quello di avere molta pazienza e umiltà nell'apprendere e  prima di mostrare pubblicamente i propri lavori. Spesso purtroppo, specie nei giovani, il desiderio primo è quello di apparire, di esporre le proprie foto prima di aver fatto il giusto apprendistato, con il rischio, al primo rifiuto, delusione o difficoltà di mollare tutto, di rinunciare a un sogno per la troppa fretta di arrivare (ma questo forse è un problema generale della "società dello spettacolo" e non certo solo della fotografia). Fotografare specie oggi con l'avvento del digitale è un gesto semplice (anche se ad alti livelli è invece ancora più complicato di prima) ma la Fotografia (intesa come cultura fotografica) è molto molto difficile e necessita di un lungo e approfondito apprendistato.

D: Bukowski si chiedeva cosa distinguesse uno scrittore da una puttana. Cosa differenzia un fotografo da una prostituta?

R: Evvabbè, ad essere cattivi ogni lavoro è una forma di prostituzione. Si vendono il proprio tempo e le proprie capacità a qualcuno disposto a pagare per averle. Quindi per essere ontologici direi "nessuna differenza". Anzi penso proprio che chi "vende" le proprie capacità intellettuali (forse a quello pensava il nostro scrittore) o la propria "visione" (come un fotografo) ad un editore o ad una testata (penso anche al caso del fotogiornalismo) sia in una posizione ancora più delicata rispetto a chi vende una prestazione sessuale. So, per esperienza personale, pur non essendo a tutti gli effetti un fotogiornalista, che in fotografia esiste sempre una forma di contrattazione o compromesso fra la committenza e il fotografo è che ciò che viene pubblicato è sempre il frutto di questa "lotta per l'immagine", in cui molto spesso il potere contrattuale è impari e il fotografo deve sottostare alla volontà degli editori (art director, grafici ecc). E' per questo che nel 1948 Cartier Bresson e Amici fondarono la Magnum proprio per avere una maggiore forza contrattuale e un maggiore controllo autoriale sul proprio lavoro, è insomma "prostituirsi" un po’ di meno o almeno in maniera più consapevole... Ma ti assicuro che anche la scelta di una foto per un manifesto per una mostra con il contributo di un Ente pubblico è sempre figlia di un compromesso.

D: Eh già, condivido in pieno. Interessanti le tue ultime parole: come si sceglie una foto?

R: Eh eh, eccoci all'osso! E' questa secondo me una delle questioni fondamentale in fotografia, sia per i fotografi sia per gli editori, curatori ecc. I criteri di scelta dipendono ovviamente molto dal Contesto di produzione, e di edizione e circolazione dell'immagine di cui bisogna sempre assolutamente tenere di conto e quindi non posso darti una ricetta universale. Posso solo dirti che  noi alla Deaphoto diamo molta importanza in tutti i lavori anche a quelli che nascono dalle esperienze didattiche alla selezione delle immagini a cui dedichiamo molto tempo e attenzione. Secondo me invece troppi fotografi manifestano in questo ambito i problemi maggiori. Ci si concentra troppo sulla produzione, trascurando  una attenta e rigorosa verifica e selezione delle immagini. Molti manifestano scarsa attitudine e molte difficoltà e si arriva a non valorizzare un lavoro di ripresa ben fatto per scarsa attenzione e concentrazione, o troppa fretta nella selezione delle immagini specie quando è necessario costruire una sequenza.  Bisogna mettersi in testa che scegliere le fotografie fa parte del lavoro del fotografo, e richiede molto tempo, impegno e concentrazione. Troppi pensano invece che il grosso del lavoro si esaurisca con la realizzazione degli scatti, mentre quello è secondo me solo una parte anche percentualmente minore (ci sono appunto prima la progettazione e poi la selezione ). Mi viene in mente Robert Frank che ha trascorso quasi un anno a selezionare gli 89 scatti per il suo celeberrimo libro "The Americans".

D: Molte volte, quando partecipo ai "call for artist", mi chiedo che importanza possa avere il testo a supporto delle fotografie. Parlando con alcuni colleghi, sono arrivato alla conclusione che ci sono due scuole di pensiero. La prima dice che "sono le fotografie a parlare, il resto è fuffa"; la seconda che "il progetto è quasi più importante delle fotografie inviate". Cosa ne pensi?

R: Confermo la presenza delle due linee. La fotografia ovviamente ha la sua autonomia di linguaggio. I testi -dalle presentazioni alle didascalie- sono però importanti (se ci sono) per la contestualizzazione delle immagini o se sono parte integrante dell'opera (come ad esempio in certa narrative photography alla Duane Michals). Certamente anche in questo caso dipende dal tipo di fotografie e dal contesto in cui si producono e si fanno circolare. Secondo il mio modesto parere non ci dovrebbero essere pregiudizi, ne sull'uno ne sull'altro versante (chi vuole i testi e chi non li vuole). Per mostre o pubblicazioni d'autore ovviamente la scelta è personale ed editoriale, chi sceglie di corredare immagini con testi critici e didascalie, chi invece preferisce lasciare parlare soltanto le immagini. Si tratta di scelte.... E tutte per me sono legittime. Anche perchè credo - è l'ho scritto sul mio Blog Binitudini che le intenzioni dell'autore siano ben poca cosa, rispetto alla forza e molteplicità di  interpretazioni che un immagine riuscita può veicolare.  Però ovviamente se per un Concorso o un Contest viene richiesto esplicitamente un testo, non trovo nessuno motivo per rifiutarsi di scriverlo, e anzi suggerisco di scriverlo bene. Insomma si ritorna a quella necessità del compromesso o "lotta per l'immagine" di cui alla precedente domanda. Ma attenzione il progetto fotografico non è il testo, il progetto fotografico sono sempre le immagini.  Scrivere o meno un testo  dipende poi dal tipo di lavoro. Per una fotografica vetero o neopittorica (tutta giocata sui valori formali, la qualità della stampa ecc ecc) un testo è meno utile, ma per una progettualità di tipo concettuale o per il reportage sociale è ovvio che un testo è funzionale per la corretta interpretazione di un lavoro. In ogni caso, se facciamo fotografia, l'immagine deve essere considerata sempre più importante del testo. Suggerisco una pratica: se vi piacciono le immagini leggete anche i testi, che e se le accompagnano, altrimenti è tutto tempo sprecato. Le parole quasi mai convincono gli occhi. O almeno questo è il mio caso.

D: Sandro, sei stato una fucina di consigli veramente interessanti, hai aperto un varco in un mondo di cui spesso ignoro le dinamiche... Per concludere, vorrei toccare un altro tasto dolente, chiedendoti cosa ne pensi del "mercato" della fotografia in Italia: esiste? Cosa ne pensi?

R: Con questa domanda purtroppo non caschi molto bene... Non sono certo un esperto in questo campo lavorando di fatto in una Associazione no profit. Ci sono comunque diversi tipi di mercato fotografico: quello dei materiali e delle attrezzature, quello della fotografia commerciale e pubblicitaria, quello del fotogiornalismo, e se vogliamo anche quello della formazione (scuole, associazioni ecc) ognuno con le sue dinamiche, che risentono oggi certamente del periodo di crisi, soprattutto in Italia dove la Fotografia e ancor oggi istituzionalmente sottostimata. Se invece per mercato della fotografia ti riferisci alle Gallerie e al mondo dell'arte, è un mondo che conosco molto marginalmente, e che in verità non mi interessa molto, sia per motivi diciamo così "ideologici" e che di storia personale. Come già ho accennato in una precedente risposta quel mondo mi sembra una vera e propria lobby addetta al controllo di chi sta dentro e di chi sta fuori e per giunta piuttosto classista e alla quale si accede più per motivi di "casta" che per quelli di merito, ovviamente ci saranno molte eccezioni, ma di fatto mi sembra un ambiente borghesotto e molto fighetto. Personalmente poi non ho mai pensato, e penso che fra l'altro sia molto difficile, "fare soldi" vendendo "foto da salotto", ovviamente di dimensioni enormi e con i costosissimi montaggi su plexiglas e tirature limitate (contro lo stesso principio di riproducibilità tecnica della fotografia) per strizzare l'occhio a galleristi e collezionisti. Ripeto ho un formazione culturale diversa, e prediligo la fotografia impegnata sui temi sociali e territoriali rispetto ai formalismi neopittorici o ai concettualismi troppo astratti o ai diarismi narcisistici cari a questo mercato. Trovo anzi spesso abbastanza fuorviante vedere approdare immagini di reportage come pezzi da arredamento nelle gallerie d'arte. Ma ovviamente si tratta di un parere assolutamente personale e ho assoluto rispetto per chi lavora per o in questo ambito. In Italia comunque anche questo tipo di mercato è molto limitato, e gli addetti ai lavori "specializzati" credo siano veramente pochissimi.

D: Grazie mille della disponibilità, come ti dicevo prima hai tolto un velo ad alcune "faccende" che interessano chi fotografa.

R: Grazie a te e alla prossima.