SPECIALE: HENRY CHALFANT

Pubblichiamo, in vista della mostra fotografica "Metropopx" al Maffa Illicit Music Club (15/29 Aprile 2006), questa intervista realizzata da u_net per hiphopreader.it. Risale al mese di Agosto 2005 e l'intervistato è Henry Chalfant, il quale sarà special guest, anche se non di persona, nella giornata di chiusura di "Metropopx"con "Art is not crime!" (mostra fotografica) e "Mambo to Hip Hop" (documentario). Lo potrete tuttavia vedere/incontrare all'inaugurazione della sua personale presso il CSOA Cox 18 di Milano, l'8 Aprile 2006, dove verranno esposte le sue foto e verrà proiettato il suo documentario.

Henry Chalfant è un regista, fotografo e scultore che dalla metà degli anni Settanta racconta l'evoluzione della cultura Hip Hop con particolare attenzione al Graffiti Writing. Nel 1984 ha pubblicato Subway Art con Marta Cooper, l'anno successivo ha pubblicato Spraycan Art e ha co-prodotto in film cult Style Wars. L'esposizione Art is not a Crime è stata esposta nelle più importanti gallerie internazionali.

di u_net

Qual è stata la tua esperienza nella scena Hip Hop delle origini e nel mondo del Graffitti Writing?

Vivevo uptown e mi muovevo quotidianamente con i treni per raggiungere il mio treno a downtown e continuavo a vedere ed ammirare sempre di più quei pezzi sempre più elaborati che adornavano le varie carrozze. Avevo già pensato a scattare alcune fotografie ma non sapevo che nella linea metropolitana esistessero delle parti dove i treni correvano in superficie. Ero a New York da poco e non conoscevo bene la città e scattare delle foto nei tunnel delle fermate era praticamente impossibile. Lessi l’introduzione di Norman Mailer al libro The Faith of Graffitti di John Goldstein e una articolo sul New York Magazine ma entrambi i pezzi, usciti nel 1973, non sembravano render giustizia alla grandiosità del fenomeno. Attorno al 1976, dopo aver scoperto che i treni di New York correvano anche in superficie nel Bronx, nel Queens e a Brooklin, trovai dei posti adatti a scattare delle foto che potessero immortalare i pezzi nella loro interezza. Iniziai a scattare fotografie e ciò mi portò automaticamente nel Bronx; vivevo nell’upper west side di Manhattan e il Bronx, dove i treni correvano alla luce del sole, era solo a venti minuti di distanza. Il Bronx di quegli anni era caratterizzato dalla violenza, dalle case bruciate o abbandonate e dalla presenza pervasiva delle gang e della droga. La mia prospettiva era quella di un outsider che girava solo armato di macchina fotografica.

Quando hai avuto il tuo primo contatto con i giovani artisti autori di quei pezzi?

Scattavo foto da oltre tre anni quando incontrai per la prima volta uno di questi giovani. Stavo scattando foto in una stazione del Bronx utilizzando una tecnica da me inventata grazie alla quale scattavo foto in successione fino a coprire l’intera lunghezza del pezzo. Nel corso di quei tre anni avevo accumulato moltissime fotografie, di intere carrozze. Quel giorno c’era un ragazzo che evidentemente aspettava di veder passare un suo pezzo e iniziammo a chiacchierare e mi disse che se ero realmente interessato ai graffiti sarei dovuto andare alla writer’s bench – la panchina degli artisti che era sulla stessa linea nella quale mi trovavo però alla fermata sulla centoquarantanovesima. Mi disse di andarci verso le tre di pomeriggio subito dopo la scuola poiché i writer passavano il tempo lì e avrei potuto conoscerne qualcuno. [...]

Hai parlato di un trucco che ti eri inventato per riuscire a fotografare meglio i pezzi, vuoi spiegarci di che cosa si tratta?

Avevo una macchina fotografica da 35mm con applicata una lente da 50mm, non l’originale della mia macchina. Se ti trovi in una stazione, nel marciapiede opposto a quello dove c’è il treno a circa venti trenta piedi di distanza, con una lente come la mia sei in grado di inquadrare una carrozza per intero.
Grazie alla mia attività di scultore ero abituato a fare proposte per luoghi dove posizionare delle sculture e al fine di ottenere il permesso dall’amministrazione cittadina e per comprendere l’adeguatezza o meno di un luogo facevo delle foto in successione per fissare tutto il panorama e una volta nel mio studio le univo componendo un diarama dove posizionavo una immagine della scultura. Applicare la medesima tecnica con i graffiti e i treni fu un passaggio del tutto naturale per me.

Il tuo rapporto con gli artisti ti ha portato a aprire le porte del tuo studio per farli lavorare ed esibire le proprie produzioni…

Nel 1980 mostrai le mie fotografie a un commerciante d’arte di mia conoscenza che impressionato dalla bellezza di quei pezzi decise di affidarmi la direzione artistica di una esposizione. Lo show si tenne all’Okay Harris Scholalry sulla West Broadway e durò una settimana in cui l’afflusso fu continuo. C’erano circa una trentina di foto. Avevo passato la notizia ad alcuni artisti che conoscevo e alla esibizione si presentarono moltissimi writer, fu forse la prima volta in cui tutti i writer della città si riunirono, c’era gente che veniva da tutte le parti della città. Conobbi moltissimi artisti che invitai a venirmi a trovare nel mio studio ormai diventato un luogo di ritrovo per un numero incredibile di giovani che venivano sia a vedere le foto che semplicemente per chiacchierare. Era molto affascinante e durò fino alla fine degli anni Ottanta. [...]

Come è avvenuto il tuo incontro con Marta Cooper con la quale hai pubblicato Subway Art nel 1984? Vuoi raccontarci anche qualcosa riguardo l’idea che ha ispirato Style Wars?

Avevo sentito parlare di Marta sin dal 1980; molti degli artisti che frequentavano il mio studio mi avevano parlato di questa donna che come me da anni immortalava foto di pezzi sulle carrozze della linea metropolitana. Marta aveva saputo di me esattamente nello stesso modo. Ci siamo incontrati durante l’esposizione all’Okay Harris grazie a Dondi che ci presentò. All’inizio c’era una sorta di competizione tra noi, ammiravamo le foto dell’altro e entrambi stavamo cercando di pubblicare senza successo un libro di foto a New York. Nessuno sembrava interessato. Così unimmo le forze e realizzammo un vero libro con tanto di foto, didascalie e testo. Portammo il nostro libro alla fiera di Francoforte e li incontrammo le persone della Thames & Hudson con i quali pubblicammo Subway Art.

Nel 1981 ho organizzato una grossa esibizione di danza con i Rock Steady e accompagnati da Rammellezee e Fab 5 Freddy al microfono. Per pubblicizzare l’evento Sally Danes scrisse un articolo sul Village Voice con delle foto di Marta che immortalavano le acrobazie dei RSC. Quello fu il primo articolo mai scritto sul Breaking. Quando Toni Silver, il regista di Style Wars che conoscevo per essere un amico del marito di mia sorella, lesse dell’evento che stavo organizzando mi chiese di poter venire per filmarlo. Toni filmo le prove poiché lo spettacolo non venne mai messo in scena. Fummo minacciati da individui armati durante le prove e il gestore dello spazio decise di cancellarlo definitivamente. Tonia aveva comunque visto le prove e parlato con alcuni b-boy ed era convinto che ci fossero le premesse per un film e mi chiese di collaborare con lui alla realizzazione. E così prese avvio il progetto che portò alla realizzazione del progetto Style Wars.