Intervista di u_net a Henry Chalfant per il 25esimo anniversario di Subway Art
(articolo pubblicato su Alias)
Subway Art, il libro più rubato nelle librerie di tutta Londra; questa l'affermazione che appare in un articolo del London Times nel 1984. Libro osteggiato dalle principali case editrici statunitensi, ritenuto scomodo come il movimento artistico che rappresentava, divenuto, però, nel giro di pochi anni un oggetto di culto per una generazione di adolescenti; un libro capace di dar vita a un fenomeno underground di portata globale; immagini e fotografie, testi e nomi che hanno conquistato l'immaginario collettivo di migliaia di giovani portando alla nascita del Graffiti Writing in tutto il mondo. Oggi, per festeggiare il venticinquesimo anniversario della pubblicazione, Ippocampo ristampa Subway Art in versione deluxe. La nuova edizione include oltre 70 fotografie inedite, una prefazione e postfazione rinnovate dagli autori stessi, Henry Chalfant e Marta Cooper, che raccontano la nascita dell'opera e le sue sorti nell'ultimo quarto di secolo. Come ricorda lo stesso Chalfant al termine dell'intervista, Subway Art racconta la storia di ragazzi che non avevano nulla, ma trovarono significato attraverso le loro opere, trasmettendo all'acciaio anonimo le proprie storie e identità individuali, scoprendo una libertà che trascende l'oppressione, usando forme e colori come medicina per una comunità ammalata.
Come siete riusciti a trovare un editore per il vostro progetto?
"Nei primi anni Ottanta nessun editore di New York voleva fare un libro sui graffiti. Sia Marta Cooper che io provammo in tutti i modi possibili, senza ottenere alcun risultato. Avevamo un bozza del layout con tanto di foto e testi, una copia molto simile al libro in seguito pubblicato, ma nessuno ci volle prendere in considerazione. Trovarono moltissime scuse come, per esempio, il fatto che un libro sui graffiti era già stato pubblicato ( Faith of Graffiti di John Naar, pubblicato quasi dieci anni prima). La realtà era, però, che la maggior parte delle persone coinvolte nell'establishment culturale nella New York del 1982 odiava i graffiti e considerava tale forma espressiva un esempio del declino della cultura occidentale. Solo quando portammo il nostro progetto alla Fiera del Libro di Francoforte ricevemmo risposte entusiastiche. Gli editori inglesi Thames and Hudson furono i primi ai quali presentammo il progetto e accettarono di pubblicarlo".
Qual è stato il feedback da parte del pubblico e dei media internazionali?
"Il successo del libro si materializzò in modo incredibilmente lento. Dopo la prima pubblicazione, il libro venne immediatamente ritirato dal mercato poiché la copertina era incollata male e si staccava facilmente. Fu ripubblicato sei mesi dopo. La tiratura era di tremila copie ma l'editore non volle investire in alcuna forma di promozione. Quando le librerie che vendevano il libro si rifiutarono di riordinarlo perché 'spariva' dalle mensole capimmo che qualcosa si stava muovendo. In seguito, solo una libreria in tutta New York vendeva Subway Art . Il libro era esposto in una teca di vetro, sotto chiave. Come sottolineato da un articolo del London Times, Subway Art era 'il libro più rubato dalle librerie londinesi'. Capimmo subito di avere tra le mani un vero successo underground che vendeva per lo più grazie al passaparola. All'improvviso iniziammo a ricevere lettere di ragazzini di tutto il mondo che ci ringraziavano per il libro e per l'ispirazione che avevamo fornito a un'intera generazione. Non ricordo alcuna recensione statunitense della prima edizione del libro, ma in Inghilterra ne uscì una superlativa sul London Sunday Times del 9 febbraio 1984".
Quando hai iniziato a immortalare quei capolavori itineranti e come sei riuscito a introdurti nella scena dei writer?
"Ho iniziato a fare foto di graffiti nel 1976 quando non fui più in grado di contenere la mia curiosità e il mio entusiasmo per quella forma artistica che stava nascendo ed evolvendo rapidamente nella linea metropolitana di New York. Anni dopo incontrai Nac che scattava delle foto a un suo pezzo in una stazione della sopraelevata nel Bronx. Mi disse di essere il cugino di Daze, del quale conoscevo il lavoro per aver immortalato molti suoi pezzi nelle mie foto. Nac mi consigliò di andare alla 'Panchina dei Writer' alla stazione sulla 149esima e Grand Concourse dopo l'orario di scuola se volevo incontrare altri writer. Ci andai il giorno stesso e incontrai Kel, Mare, Crash, Shy, Cos e molti altri; mostrai loro le foto che ritraevano molti loro capolavori. Rimasero profondamente colpiti dal mio lavoro e il giorno successivo vennero al mio studio insieme a Daze per visionare la mia collezione. In quel momento iniziò la mia immersione totale nella scena. Diventai una sorta di archivista ufficioso del movimento. Quella relazione mi permise di ottenere delle dritte che si rivelarono essere informazioni preziosissime per scattare alcune tra le più belle foto della collezione. Inoltre mi permise anche di trovarmi in una posizione privilegiata nel momento in cui il mondo artistico iniziò a interessarsi al fenomeno. Avevo centinaia di foto ed ero in grado di poter coinvolgere numerosi writer".
Com'è stato immergersi in quel mondo, imparare il vocabolario dei writer e comprendere la gerarchia del movimento?
"È stato divertente imparare tutte quelle nuove espressioni e prendere confidenza con quel vocabolario. E' stata un'esperienza paragonabile a quella di un antropologo che incontra una popolazione sconosciuta. Il tutto era reso ancor più eccitante da quell'entropia, le società di massa che si rivolgevano al proprio interno creando nuove subculture".
Quando e perchè hai deciso di collaborare con la Cooper per questa pubblicazione?
"Marta e io abbiamo iniziato a documentare la scena senza sapere per anni l'uno dell'altro. Sentivo i writer parlare di questa donna che fotografava i treni ma non la conoscevo. Dondi portò Marta a una mia esibizione tenutasi alla galleria OK Harris di Soho nel 1980 dove ci incontrammo per la prima volta. Soltanto dopo il fallimento dei rispettivi tentativi di veder pubblicate le nostre foto in un libro, decidemmo di unire gli sforzi e il materiale. Era una sorta di collaborazione ideale, i nostri lavori erano complementari per via della diversità dell'impostazione e dello stile. Marta come fotoreporter tendeva ad analizzare l'aspetto antropologico, scattando foto dei ragazzi nei depositi, raccontando la storia di come nascevano e si muovevano nel contesto cittadino questi capolavori. Io non ero un fotografo professionista, ma avevo sviluppato uno stile di fotomontaggio originale per immortalare per intero ogni masterpiece : ignoravo il contesto per esaltare la forma artistica in quanto tale".
A distanza di trent'anni cosa pensi del fenomeno del graffiti writing?
"La storia dei graffiti a New York è la storia epica di giovani writer capaci di sfidare la potenza industriale di seicento miglia di acciaio e macchine che corrono attraverso la città, avventurandosi nei tunnel e tuonando lungo le sopraelevate, per miglia e miglia di abbandono e distruzione occupando lo spazio dei vecchi edifici popolari. Innocenti creatori di arte di strada, si infilavano in buchi nelle recinzioni per illuminare il decadente sistema urbano, trasformando un sistema devastato da scarsa manutenzione in tele colorate che sfidano l'opinione comune sullo spazio pubblico. È la storia di ragazzi che non avevano niente ma trovarono significato attraverso le loro opere, trasmettendo all'acciaio anonimo le proprie storie e identità individuali, scoprendo una libertà che trascende l'oppressione, usando forme e colori come medicina per una comunità ammalata. Crescere nelle strade di New York significa re-inventare se stessi attraverso l'espressione culturale con il solo scopo di raggiungere lo status di celebrità del ghetto. La scelta è tra l'accettazione di una prospettiva di vita impostaci dalla società e la possibilità di trasformare quella prospettiva per imporre la propria identità".