MAFFIA EXPO / I TAROCCHI DELL'ELFO

Tornano gli Expo del Maffia. Si comincia venerdì 28 settembre con l'esposizione di Marco Circhirillo, fotografo parmigiano che per l'occasione presenterà il progetto I tarocchi dell'elfo: 22 scatti a colori, ambientati nella natura più rigogliosa, in cui uno strano elfo si muove a suo agio, racchiudendo in se tutte le caratteristiche dei Tarocchi, scatto dopo scatto. Un pizzico di erotismo, una manciata di esoterismo, qualche goccia d'arte e la magia è pronta...

INFO

Maffia Expo
I Tarocchi dell'elfo
di Marco Circhirillo
da venerdì 28 settembre a domenica 4 novembre
Maffia Illicit Music Club, Reggio Emilia

BIOGRAFIA DI MARCO CIRCHIRILLO

Sono nato a Parma, sotto il segno del Toro, il 18/ 05/ 1980. Nel 2005 mi sono laureato presso la Facoltà di Lettere e Filosofia di Parma, conseguendo il dottorato triennale in Arte, spettacolo e immagine multimediale, con tesi intitolata: Fotografia a teatro, la memoria della morte. Ora sono laureando in Critica d’arte contemporanea (Laurea specialistica) presso l’omonima Facoltà. La mia vita è un insieme di frammenti: professionalmente ho fatto un po’ di tutto, dall’operaio al facchino, ma anche il modellista, il parrucchiere e via dicendo. Proprio il lavoro in fabbrica mi ha permesso, da un lato, di conoscere il pittore Will_be, con la quale si è estesa poi una collaborazione linguistica, nel tentativo di raggiungere il fine artistico con mezzi espressivi diversi e, dall’altro, di iniziare, in modo più serio e deciso, quello che fino allora avevo fatto per gioco: fotografare. Così nel 2002, dopo un anno esatto di turni e tormenti, ho deciso di licenziarmi e di inscrivermi, lo stesso anno, all’Università. Da quel momento la mia vita è cambiata radicalmente e le mie fotografie hanno preso sempre più spessore espressivo. Un anno dopo ho inaugurato, insieme a Will_be, il nostro sito internet: www.claustroscontro.com. Nel frattempo mi sono pagato gli studi continuando a lavorare, così tra uno scatto e un esame sono diventato Mimo di Opera Lirica, un lavoro che riesce a conciliare la fotografia ai miei studi. Il mio maestro ideale è l’insuperabile Man Ray e, facendo tesoro dei suoi preziosi insegnamenti, ho capito presto che la fotografia è solo una macchina, ma al servizio dell’uomo e dei suoi sogni. Nelle mie fotografie l’immaginazione è la chiave per creare e per interpretare. Spesso fotografo cose che non esistono in natura, ma che se ci si sforza è possibile percepire. Ad esempio il progetto sui Tarocchi dell’Elfo, risalente a quest’anno, mostra in un ambiente rigoglioso di natura, uno strano elfetto che racchiude in se tutte le caratteristiche dei Tarocchi, scatto dopo scatto. Altri progetti recenti, in collaborazione con la truccatrice Giulia Basta, riguardano le fasi lunari, egregiamente interpretate, non a caso, da un’astrologa nata sotto il segno del Cancro (domicilio della Luna). Mi sono occupato anche di Reportage nel mio viaggio nel Sud Italia nell’estate 2006, ma per ragioni più intime e famigliari. Al contrario di molti fotografi, spinti dalla missione di testimoniare la caducità della vita, nel disperato tentativo di fermare ciò che per propria natura è destinato ad andarsene, sono più interessato al lato più introspettivo, psicanalitico e onirico del mezzo fotografico. Altre serie importanti, procedendo a retrogrado, sono sicuramente le serate “claustroscontro” con Will_be, dove il più delle volte, omaggiando grandi pittori del Novecento e fotografi, attraverso un’interpretazione sinergica, si sono create atmosfere ibride molto inclini alla riflessione.

INTERVISTA DI MAX BOSCHINI A MARCO CIRCHIRILLO

Domanda: Ciao Marco, tra qualche giorno avremo la possibilità di vedere alcune tue foto appese alle pareti del Maffia. Non ti chiedo di farti una domanda e di darti una risposta, ma i nostri lettori più affezionati sanno che solitamente esordisco con una domanda ormai "classica"... Aiutaci a conoscerti meglio. Hai a disposizione le prossime righe per dirci che sei, da dove vieni e dove vai...

Risposta: Non so con certezza chi sono e da dove vengo, ma ho bene in mente dove vado: cerco di dirigermi verso un compromesso che riesca a conciliare la realtà con i miei spazi mentali più visionari. L'onirico e il meraviglioso mi affascinano e tramite la fotografia, ma soprattutto l'immaginazione, mi sforzo di ricreare le mie emozioni e i miei sogni.

D: La tua fomazione è un po' inusuale, per un fotografo: laurea in lettere e filosofia, dottorato in Arte, spettacolo e immagine multimediale, frammenti di opera lirica e teatro... cosa pensi ti abbia dato tutto ciò, rispetto ad un tuo omologo con specializzazioni più tecniche e mirate? Voglio capire cosa ti rende speciale...

R: Attenzione, io non ho il dottorato! Magari!!! Con la nuova riforma la specialistica sono i due anni in più che non servono a nulla se non a permetterti di fare poi un dottorato o una specializzazione per l'insegnamento, perciò dovresti mettere a posto la domanda: io sono laureato in Arte e Spettacolo e specializzando in critica d'arte contemporanea...

Non credo che la mia formazione sia inusuale e la consiglierei a tutti i futuri fotografi. Io studio la storia della fotografia, la storia dell'arte, la storia del mondo. Non serve a nulla conoscere alla perfezione la tecnica per poi non essere in grado di utilizzarla. La storia dell'arte è la storia del gusto e questi studi mi permettono di affinare la mia sensibilità in fatto di scelte.

La storia della fotografia è quindi la storia di scelte che alcuni uomini operano, nel tentativo di interpretare la realtà: fotografare vuol dire estrarre un frammento della vita e decontestualizzandolo (nel segno di un Ready Made) obbligare i fruitori alla sua attenzione. La storia insegna, il fotografo sceglie, il fruitore riflette. E' un circolo intellettuale che si innesca per produrre conoscenza, senza di cui, la fotografia sarebbe un inutile gioco. Ovvio che qui in Italia risulta inusuale la mia formazione ma solo perchè la fotografia, non è entrata del tutto, nell'olimpo delle arti ed è sempre, purtroppo, scissa dalla storia, ma questo credimi, in occidente, succede solo qua. Per quanto riguarda il teatro ancora una volta ritrovo che sia utile e che lo sarebbe a chiunque abbia contratto il virus del fotografo. Il teatro è una macchina antropologica che mette in scena la vita in uno spazio e in un tempo ridotto. Essendo tutto compresso si possono cogliere in alcuni momenti, alcuni istanti di verità con cui ciascun fotografo dovrebbe misurarsi.

D: Come vengono quindi partorite le tue foto? Non mi sembrano senz'altro realizzate d'impulso... cosa ci sta dietro? Le pensi prima e poi cerchi di realizzare ciò che hai immaginato?

R: Il più delle volte sì: immagino, metto in prosa e poi i versi vengono da sé. Il processo che seguo è simile a quello di un regista teatrale che però, anziché cercare di mettere in scena alla lettera ciò che ha scritto, al contrario, "scrive in azione" sulla scena durante le prove.

Ho solo una traccia, tutto il resto si crea insieme alle persone che collaborano sul set. Naturalmente mi sono misurato anche con la vera natura della fotografia: mi riferisco al tentativo di fermare ciò che è destinato a sparire, a cogliere l'istante, a documentare l'uomo, insomma alla fotografia sociale. Ma anche la fotografia astratta è da ritenere sociale, in quanto è l'espressione di una ricerca mirata, operata da un uomo che agisce in un contesto culturale ben specifico e, di conseguenza, anche la fotografia "creata". Purtroppo però, spesso viene criticata e negata da colui che segue una "missione antropologica". Vedi, è troppo sfaccettato il mondo della fotografia e ognuno si dirige dove crede di essere più idoneo, tenendo sempre conto dei propri maestri ideali.

D: Una curiosità, legata al fatto che io ricorro spesso a questo espediente: utilizzi l'autoscatto? Ti piace essere interprete di te stesso?

R: Non ho mai usato l'autoscatto, se non per gioco. Il più delle volte, nelle fotografie dove appaio ritratto, sono proprio i modelli che scattano, pur non capendo nulla di fotografia. Sono convinto che da soli non si va da nessuna parte e sposo l'idea della necessità di collaborare. Durante queste "sedute", mi preoccupo in primo luogo di creare lo spazio giusto perché, come succede a teatro, influenza sempre il risultato finale. In seguito scegliamo, insieme, la musica da applicare all'arte, la scenografia, i costumi, i trucchi, il tutto per creare un ambiente stimolante e funzionale ad entrambi. Di solito non lavoro mai con più di una persona e questa devo conoscerla bene, devo sapere i suoi segreti e dobbiamo sforzarci di "volare mentalmente" in un mondo parallelo a questo, un mondo fatto di musica, dove si parla di arte e si assecondano le esigenze di ciascuno. Le serate, così predisposte, si avvicinano all'idea di Happening, con la differenza però che non sono aperti al pubblico ma figurano come avvenimenti intimi. Lo scatto è solo la parte conclusiva dell'esperienza “estetica” e il più delle volte non è importante chi agisce, poiché, credo, che la fotografia finale sia di chi ha messo in piedi tutto e non di chi schiaccia un pulsante posto su un cavalletto nella giusta inquadratura seguendo le mie direttive. Non nascondo che una buona porzione di egopatia mi aiuta ad affrontare l'obbiettivo senza riserve.

D: Cosa presenterai nell'ambito dell'expo al Maffia?

R: Per questo allestimento ho deciso di esporre l'inedito progetto neorealizzato dei Tarocchi dell'elfo. Sono 22 fotografie a colori eseguite con macchina digitale che ritraggono un follettino mentre si aggira intorno agli alberi di un bosco. Questo progetto è realmente nato per realizzare le carte fotografiche dei tarocchi, naturalmente le fotografie che esporrò al Maffia saranno nel formato originale mentre la lavorazione intorno alle carte, non può fare a meno di tagli, ridimensionamenti e della verticalizzazione di tutte le copie, fino al conseguimento necessario.

D: Direi che come progetto, ben si incastra in una soluzione anomala come il Maffia. Anomala perchè non è una galleria o un museo, ma magari proprio per questo potrebbe risultare interessante. Cosa ti aspetti, dal "pubblico" del Maffia?

R: Se non altro sarà un pubblico di giovani che non viene per la mia mostra ma per ballare e divertirsi, questo mi alletta molto. L'importante è per me arrivare a colpire qualche persona più incline al mio modo di percepire il mondo e smuovere per un istante, qualcosa dentro di loro. Mi farebbe molto piacere poi conoscere queste persone e magari potere anche collaborare in un futuro prossimo con loro.

D: Design(Radar è soprattutto una comunità. Hai mai lavorato con altri artisti? La cosa ha funzionato?

R: Si certo, mi è capitato e mi capita tuttora e funziona benissimo. Credo che sia necessario e molto stimolante confrontarsi con altre teste, altre idee, altri modi di percepire il processo di creazione. La mia ricerca espressiva è proprio iniziata in questo modo, attraverso la collaborazione artistica con un pittore brasiliano - Will_be - in quanto, io ero attratto dai suoi lavori e viceversa lui dai miei, così siamo giunti al tentativo di fonderli in un progetto utopico di cui si può trovare
traccia dal nostro sito www.claustroscontro.com. La mia fotografia, proprio per il suo carattere non documentario e onirico, può accostarsi bene con certi tipi di pittura, così mi è capitato spesso, quasi come un clandestino, di collaborare anche per collettive artistiche ed essere l’unico fotografo. Alla base della mia ricerca c’è, infatti, la condivisione totale alla idea di Man Ray che è possibile dipingere con la macchina fotografica attraverso la luce che è la vera essenza dell'arte. Già nel settecento, poi, Diderot, parlando delle sue recensioni filosofiche di critica d'arte disse: del resto non son pittore anch’io?