MARCO BELPOLITI

(a cura di Boskizzi)

Boskizzi: Buongiorno Marco, le confesso che sono giunto a lei dopo aver letto Il corpo del capo, un libro interessante, che mi ha incuriosito non poco. Sono fotoamatore ed ex assessore in un piccolo comune della Lombardia ora in mano al centro-destra, per cui ho acquistato la sua ultima fatica con non poche aspettative. Arrivato all'ultima pagina, posso dire con certezza che Il corpo del capo non è un saggio politico e non contiene critiche o apprezzamenti sull'operato del presidente del Consiglio. Come lo definirebbe?

Marco Belpoliti: Una lettura visiva del contemporaneo. Una fotografia della nostra stessa situazione. Berlusconi è un pretesto. Credo che però sia, a suo modo, un libro politico, non nel senso tradizionale, cioè “ideologico”. La politica non significa schierarsi da una parte o dall’altra, ma indicare agli altri, oltre che a se stessi, la dimensione della “polis” in cui viviamo. Su cosa si fonda il nostro patto sociale? Sul corpo postmoderno. Questo racconta il libro. Ma è anche una rilettura del caso-Berlusconi. Insomma, non sta da un lato solo della strada, ma da entrambi..

D: Desig(Radar è un sito molto frequentato da grafici, webdesigner, photoshopper e fotografi. La domanda che vado a farle è fatta pensando un po' anche a loro. Nella storia per immagini del Silvio nazionale, c'è una linea di demarcazione netta: sino al 1988, si legge sul libro, Berlusconi ha usato i ritratti fotografici, anche mediante la tecnica del ritocco; dopo quella data «ricorre con costanza e insistenza alle diete, alla ginnastica, al jogging», sino ad arrivare alla «trasformazione fisica». Qual'è la causa di questa mutazione? Un fallimento del grafico di fiducia?

R: No, la ragione è che da quel momento, dalla fine degli anni Ottanta e dalla discesa in campo dell¹inizio dei Novanta, Berlusconi non poteva più controlalre la propria immagine direttamente. Era sottoposto al fuoco di fila dei fotografi, dei cineoperatori. Inoltre era invecchiato. Gli anni passavano anche per lui, che non è certo un adone. Quindi ha cominciato a lavorare sul proprio corpo, sull¹icona di se stesso. Era un po¹ come indossare la parrucca bianca di Warhol, fatte le dovute proporzioni, naturalmente. Ha costruito un¹immagine a-temporale di se stesso. Credo che la ragione sia complessa, sia per un chiaro problema con il tempo ­ le rughe, la caduta dei capelli ­ e anche un problema con se stesso.

D: Condivido in pieno. Non per nulla, poco più tardi di due mesi fa, a sconfiggere Soru non è stato Ugo Cappellacci, ma il premier in persona. "Ci ho messo la faccia", ha detto. E per questo ha vinto. E ancora una volta, forte di questa personalizzazione della campagna, e di questa presidenzializzazione del voto, ha sbaragliato l’avversario. Nel libro si parla anche di altri corpi, e potremmo aggiungerne altri, da Mussolini a Giuseppe Mazzini, senza dimenticare Che Guevara, i busti di Lenin o il volto di Marilyn. Cosa differenzia Berlusconi da tutti questi? E perchè gli italiani hanno questa predilezione per il culto del personaggio?

R: La differenza consiste nella sacralizzazione del corpo fisico di Berlusconi. Ovvero, nell’aver aver trasferito la regalità del corpo del Re, quella che si trasmette ai discendenti, quando il corpo fisico del re muore, al suo stesso corpo fisico. Problema che in Mussolini si poneva solo in parte. Nel senso che Mussolini era diventato il simbolo stesso degli italiani, il punto in cui si concentrava la loro unità dopo l’Unità d’talia e il bagno di sangue della Prima guerra mondiale, che aveva lasciato gli italiani in preda a un grave problema di identità collettiva. Quello del Duce era un corpo collettivo. Quello di Berlusconi è invece un corpo individuale; al massimo gli italiani si identificano con lui per via del rapporto uno a uno, nel loro tinello di casa. Silvio allude alla eternizzazione del corpo, alla sua durata temporale attraverso le varie tecniche: diete, vita sana, lifting, trapianto dei capelli, ecc. Gli italiani sono pagani, non sono cristiani; al massimo, cattolici. Hanno tanti dei: i santi patroni; le devozioni locali. Silvio è il Padre Pio della politica.

D: In effetti mi aspetto che prima o poi qualcuno se ne uscirà con i miracoli e ne chieda la santificazione. E tutto questo non è poi lontano dalla realtà, se pensiamo che al termine della parata romana del 2 giugno la folla acclamava "Silvio santo subito" e che io stesso ho nel portafoglio un santino che raffigura San Silvio da Arcore. Dove arriverà Berlusconi? Dovremo aspettarci una vita ultraterrena come per Mussolini, fatta di busti, fotografie, calendari, effigi, fotografie e memorabilia varie?

R: Non si sa. Ma paradossalmente dipende solo da noi, intendo da noi italiani. Proiettiamo su di lui le nostre attese, le speranze, le paure e anche i desideri. E’ il nostro specchio, così come noi siamo il suo. Riocrdiamoci che dopo il ventennio dell’esaltazione del corpo di Mussolini è venuto Piazzale Loreto. Un rito sconcio e assurdo dell’impiccagione a testa in giù che era simmetrico e opposto all’esaltazione precedente. Non che ci debba essere qualcosa del genere per Re Silvio. Ma il rischio di passare dagli altari alla polvere è sempre possibile per i Capi. Un tempo si praticava la morte rituale del Re; era un elemento fondamentale nell’equilibrio delle società premoderne. Lo spiega Frazer nel “Ramo d’oro”. Oggi non più. Dipende anche da Berlusconi. Io credo che finirà per scomparire, divenendo solo una icona, appunto un’immagine da portare con noi. Una sorta di mummifazione mediatica: scompare dal cosiddetto reale per apparire in forma virtuale. Non lo si vede più dal vivo, ma solo attraverso lo schermo. O con un ologramma, come in “Guerre stellari”, o nei film tratti dai libri di di Philip K. Dick. Viviamo già in un mondo sospeso tra i condomini di Ballard e le fantasie paranoiche di Dick.

D: Un'icona tipicamente italiana, non credi? Non sembra che, anche quando il premier viene immortalato sorridente tra Obama e Medvedev, egli stia pensando esclusivamente al pubblico dei nostri connazionali? Ciò che traspare è la sua importanza e centralità nello scenario politico internazionale, e poco importa se all'atto pratico il tutto si riduce a stare nel bel mezzo di una foto. Può bastare questo a giustificare le gaffe mondiali in cui ogni tanto incappa?

R: In effetti, chi ha visto le foto pubblicate sui giornali il giorno dopo il G20, si è reso conto che l’apparizione di Berlusconi tra i due capi di stato delle superpotenze USA-RUSSIA era dedicata la mercato italiano. Alberto Sordi al potere. Non centrava nulla con la situazione, era uno spot prima di tutto per se stesso (Berlusconi fa almeno la metà delle cose come conferma del proprio ruolo: ci crede ma deve crederci ancora di più; è la necessità della performance, come un campione sportivo, che deve fare risultati, come un venditore, che deve raggiungere la percentuale fissata); e poi per l’Italia intera, che ride e lo applaude. Lo applaude perché ride: guarda che Presidente meravigliosamente simpatico che abbiamo! Una simpatica canaglia, alla Alain Delon dei Marsigliesi. E il gioco è fatto, almeno sui mass media.

D: Il Corpo del Capo ha preso spunto da un tuo precedente lavoro, dal titolo Le foto di Moro, legato ad un tragico momento della vita nazionale. Come hai trovato un trait d'union tra le due cose? Con che spirito ti sei avvicinato alle due raccolte fotografiche, così diverse tra loro?

R: Il tema è il medesimo: il corpo dei politici italiani. Come ho scritto nel librino apparso da Nottetempo (la riscrittura e ampliamento di un saggio scritto più di dieci anni fa in una rivista d’arte), Moro sembrava in vita un uomo senza corpo, la quinta essenza della politica come astrazione. Poi di colpo, con il sequestro, acquista un corpo, e con la morte il suo corpo diventa una realtà incontrovertibile. Da lì in poi cambia tutto nella politica corporale dei Capi. Berlusconi è lo sviluppo – e anche la patologia, come si vede in questi giorni – di tutto questo. Lo spirito è sempre quello: curiosità, ricerca, conoscenza, politica. Una scrittura che vuole indagare, ma anche racocntare. Raccontare idee.

D: Che rapporto hai con il web? Hai un blog o un account su Facebook?

R: Lo uso, ma non assiduamente. Per le notizie e i video. Non ho la televisione da 15 anni. E se la guardo, è solo per situazioni speciali, come la Guerra del Golfo o Iraq. Ma ora uso sempre internet. Non ho un blog, ma sto per aprire un sito con altri di lettura quotidiana della realtà. A giorni, a settimane. Non sono su Facebook: trovo le persone che non vedo da anni camminando per strada, alle mostre, nel metrò, tornando nella mia città natale. Non le riconosco più. E forse è così anche per loro. Ci conosciamo in troppi, meglio perdersi. Consiglio la lettura di Solitari americani, racconti tradotti da Celati e Benati per la Bur. Altro che società di massa: sparire!