ALESSANDRO BARONCIANI

(intervista di Jukka Reverberi)

Bene Alessandro, è passato del tempo dal tuo primo volume a fumetti, che è successo nel mentre, tra un fumetto e l'altro? A noi che seguiamo i tuoi albi interessano le storie che succedono tra una vignetta e l'altra... quella roba chiamata vita, credo.

Tanto lavoro in mezzo! Finito di pubblicare "Una storia a fumetti" ho ripreso a lavorare per la pubblicità, tra l'altro un anno molto intenso. Sono usciti anche dei libri per la Mondadori Ragazzi, volevo aspettare meno tempo tra il primo e il secondo libro, ma fare fumetti non è un lavoro, o almeno non lo è diventato, quindi ho cercato di mettermi giù a scrivere la nuova storia come era iniziata l'altra: in treno. Intercity delle 19 e 40, a Pesaro ne partono due alla stessa ora, binario 2 e binario 3. Uno arriva a Milano a mezzanotte, l'altro invece alle 23. Ci si sbaglia perché spesso cambiano di posto, nel senso che il capotreno annuncia sempre il binario sbagliato. Entrambi sono sempre mezzi vuoti, così posso prendermi il tavolo tutto per me e disegnare, ascoltare i dischi e leggere Naruto prima di Internazionale.

Alessandro partiamo dalla tua storia di fumettista. Inizi con quella cosa dei fumetti in abbonamento, una modalità se vogliamo sconosciuta in Italia. Ovvero tu che stai li a casa e disegni, fotocopi questi volumetti li spedisci a centinaia di persone. Attraverso il passa parola il circuito punk e forse altro... i tuoi fumetti ti aiutano ad arrivare al primo albo edito da una casa editrice. Ci spieghi un po’ l'atmosfera ed i perché di quelle prime produzioni.

Casa editrice mi sembra sempre una parola grossa, senza togliere niente alla Black Velvet di Omar Martini, ma penso che se parliamo di case editrici a me vengono in mente la Mondadori o l'Einaudi, la Rizzoli. In Black Velvet le cose sono gestite in maniera molto più semplice. Chi stampa il libro, chi ci mette i soldi e chi lo vende sono la stessa persona che lo va a prendere negli scatoloni in tipografia. Io ho iniziato a fare autoproduzioni per il semplice fatto che non avevo voglia di aspettare qualcuno che mi pubblicasse. Volevo soltanto far leggere delle storie ai miei amici. Un po’ come in Icksville, un bellissimo romanzo a fumetti dove tutte le persone che vivono scrivono e disegnano storie a fumetti. Autoprodursi è stata anche la prima cosa a cui ho pensato perché già lo facevo con gli Altro, il gruppo dove suono e canto. Mi piacevano i fumetti di Love and Rockets dei fratelli Hernandez, raccontavano storie quotidiane di punk e amore, e quindi ho pensato di rifare la stessa cosa, ambientandola in Italia, e parlando dei gruppi che conoscevo e ascoltavo: Nuvolablu, Frammenti, Fine Before You Came, Roid, La Quiete, Sumo. Erano citazioni tra le magliette, o nei manifestini che si leggevano sulla strada.

Credi sia un'esperienza ripetibile? Io penso davvero che questa è la storia che dovrebbe essere raccontata di te. Non voglio togliere nulla ai tuoi fumetti, al segno grafico alle storie. Quelle basta leggerle averle davanti agli occhi e parlano. Ma la tua avventura di fumettista d.i.y. mi ha sempre colpito. Uno che in Italia smette di lamentarsi e fa, mi colpisce sempre. Ridomando: pensi sia una strada ancora percorribile per chi inizia oggi a lavorare con i fumetti?

Non lo so. Ti faccio un esempio: ieri pensavo ai manifestini dei concerti. Dieci anni fa era facile imbattersi in un manifestino sulle strade del centro, ieri camminando per la strada mi sono accorto di quanto fosse pulita e vuota. Oggi basta pubblicare la locandina su last.fm o su un social network a caso che hai informato tutti quanti quelli che sono interessati alla serata. Tutto questo risparmiando tante fotocopie e tanto tempo notturno dedicato all'attacchinaggio. Tant'è che anche quando andavamo in giro a farlo a Pesaro mi sono sempre chiesto: quanta della gente che passerà in questa strada leggerà o gli interesserà leggere (che ha più senso) questo manifesto? Chi cercava un certo tipo di musica sapeva dove ascoltarla, io stesso mi sono avvicinato al punk attraverso degli amici di classe e non tanto per aver letto un manifestino in via Branca in centro. Tranne che per il manifesto del "Laghetto festival" al parco della pace, che aveva fatto il Centro Sociale "Manicomio" quando ancora io andavo, penso, alle medie: era rosso e nero e c'era un gatto che urlava dalla cui bocca usciva una A cerchiata. Era bellissimo. Questo festival era totalmente autogestito e c'erano gruppi che venivano da tutta Italia. Nella prima edizione suonarono Raw Power e Kina. Era un poster 70 x 100 e sicuramente era serigrafato a mano. A Pesaro era praticamente dappertutto: dai ponti, ai cavalcavia, alle strade del centro. Avrei voluto fartelo vedere, ho provato a cercarlo su google ma non l'ho trovato.

Sulla questione del fare.
Non ho mai pensato di aspettare qualcuno per stampare qualcosa. Mettendosi in testa di fare le cose capisci anche se quello che stai facendo funziona. Mi spiego: potrei avere un’idea bellissima, o una storia da raccontarti in testa ma quando mi trovo a esporla fatico a farle prendere una qualsiasi forma, una maniera per venire fuori come l'ho pensata. Questo forse perché, appunto, manco di esperienza. Provando s’impara e si aggiusta il tiro quando serve. Provando s’impara. Molte storie a fumetti che ci arrivano dal Giappone prima di diventare serie a fumetti, successi editoriali o cartoni animati in tv erano storie brevi abbozzate in sedici pagine pubblicate su qualche rivista.

E "Una storia a fumetti", com'é finita? Soddisfatto? Possiamo dire che era un riassunto delle puntate precedenti, ...un'introduzione al mondo... del tuo mondo?

Quando ho pensato di iniziare ad autoprodurre le mie storie all'inizio c'era l'idea di fare un fanzine a fumetti dove mettere citazioni dei miei gruppi italiani preferiti. Poi un po’ alla volta sono arrivate le lettere delle persone che leggevano le mie storie. Alle volte erano storie di ragazzi e ragazze. Molti mi raccontavano la loro vita, le cose che gli succedevano o le loro storie d'amore. Io stesso provavo a raccontare storie d'amore. Quindi ho cominciato a trasformare le loro storie in fumetti, facendo lievitare il mio racconto di personaggi e avvenimenti. Non c'erano soltanto riferimenti a una certa scena musicale, ma anche storie di persone che ne facevano parte.
Il libro "Una storia a fumetti" raccoglie questo esperimento durato 5 anni, 8 numeri e 400 abbonati e tante lettere spedite per posta. Prima di andare in stampa con il nuovo libro (“Quando tutto diventò blu”) sono andato a casa di Omar Martini e mi ha detto che lo avremmo ristampato. Ne rimaneva uno scatolone da 30 copie ed era sotto di noi mentre parlavamo. Omar lo usava per tenere aperta la porta della cucina. Stampare un libro è bellissimo, finire una tiratura meraviglioso, ristampare un libro è una grande soddisfazione. Soprattutto nel mondo del fumetto. Una soddisfazione così bella che per l'occasione nella nuova edizione c'è anche la primissima storia uscita per abbonamento. Il titolo era R.

Il tuo rapporto con i magazine. Collabori in modo stabile con Rumore. Che ruolo può avere il fumetto su quegli spazi. Perché vedi, mi sembra che su Rumore la cosa sia più organica, cerca di parlare di qualcosa attraverso il mezzo fumetto. Diciamo che si vede la ricerca dello spazio per il tuo contributo. Che quasi fa il pari con la striscia di Gipi su Internazionale. Mentre su altre riviste mi sembra che il fumetto sia trattato come ulteriore contorno da aggiungere alle altre pietanze messe sul piatto. Ovvero, mettiamoci pure i fumetti che così abbiamo messo proprio tutto. È un'impressione, forse sbagliata, la mia. Tu che ne dici? Così interessiamo/introduciamo più pubblico al fumetto... oppure... l'ennesima occasione persa?

Che se ne parli di fumetto, nel bene e nel male fa sempre bene. Certo se le storie hanno senso e sono belle è meglio. Rumore più volte aveva cercato di fare fumetti all'interno della rivista già ai tempi di Giacomo Spazio come art director. Il problema è che molte volte erano storie senza contesto e fine a se stesse e che interessavano ad un piccolo gruppo di persone. Quando ho iniziato a collaborare con loro la proposta è stata subito chiara: Memorabilia, storia del rock. Poi insieme abbiamo cercato di dargli una forma: prima solo come striscia mensile poi come pagina intera che trattava avvenimenti non solo legati al mondo della musica. Un personaggio dei miei fumetti: Futura si è prestata subito al racconto. Poi c'era questa cosa che faceva ridere che Futura andava indietro nel passato! Ehehehe!

Si diceva prima di Gipi. un grande successo nel 2008 per lui. Un fumetto, il suo, che ritorna in edicola. Un fumettista che ritorna da protagonista in tv. Un fumetto che vende e fa parlare. Un talento che può far bene e sbonellizare/superderoizzare il fumetto italiano?

Avevo letto questa domanda ed ero veramente contento! Poi la settimana scorsa di ritorno da una presentazione del libro nuovo non lo ero più tanto. A questa presentazione c'erano degli studenti di una scuola di fumetto che non conoscevano Gipi. Non che fosse fondamentale (anche se il suo ultimo libro, poi, lo è) ma non conoscevano nessun altro fumetto che non fosse uscito dalla edicola. Certi addirittura non conoscevano altre testate diverse da quelle che leggevano. Ad esempio c'era chi leggeva Dylan Dog e ignorava l'esistenza di Martyn Mystere, o Naruto. Gipi non è importante perché è famoso. Gipi è importante perché ha fatto una piccola scommessa con questo libro. Dalla storia autobiografica alla scelta di distribuirlo dentro l'edicola. Penso che oggi, le cose nuove, nascono sempre dal piccolo e rispecchiano sempre un sentire del momento. Quando si amplificano è perché queste hanno già determinato uno spostamento d’interessi. Un po’ come il pop. In musica il genere pop quando nasce dal pop non è interessante. È autoconfezionato come le merendine e non stupisce. Quando proviene invece da generi, anche estremi, è riconoscibile e porta con se tutte le persone che ci si sono identificate nel tempo.

Durante una tua recente performance dicevi: "Oggi il fumetto può permettersi di dire quello che altri media/linguaggi non possono fare"... che vuol dire esattamente questa cosa?

Provo a scriverlo anche se forse è un po’ lungo e contorto da spiegare. l'esempio partiva da una canzone degli Elguapo, un gruppo che in italia aveva più successo che in America, soprattutto in Emilia Romagna. Io li ho visti 3 volte nel giro di un anno, più o meno nella stessa zona a distanza di pochi chilometri. In Fake French c'era questa canzone che si chiamava Holywood Crew. parlava di due uomini barbuti (Spielberg e Lucas) che camminando sulla spiaggia sceglievano quello che il mondo avrebbe voluto vedere: un dinosauro che rincorreva un auto, un robot bambino che piangeva, un futuro pulito. Nell'immaginario collettivo ormai c'è questa idea che tutto sia possibile, guardabile, reale, iper-reale. Questa cosa ha un po’ staccato l'attenzione delle persone dal cinema. Tutto è cosi meraviglioso, tutto cerca continuamente di stupirti che si è perduta la caratteristica che lo aveva fatto diventare un media importante all'inizio del secolo scorso: l'immedesimazione. Non parla di quello che mi sta succedendo e anche i film che ne parlano sono schiacciati dalla estetica di quelli sopra. Vedo altri mondi, cartoni in 3d, attori che parlano con animali ricreati completamente dalla computer graphic e tutto è così vero che poi quando esco dal cinema mi accorgo che in realtà non ha raccontato niente di me.
Il fumetto invece entra in casa delle persone, rimane sul mobile, sul comodino affianco al letto e può raccontare in qualsiasi momento cose che altri media non riescono, perché semplicemente non lo possono fare. Penso a "Pyongyang" di Guy Delisle, un reportage a fumetti dalla Corea del Nord dove ancora oggi potresti finire in prigione per alcuni giorni se ti trovano a fotografare una stazione delle corriere. Tutto quello che l'autore ha raccontato sono i suoi ricordi trascritti su un taccuino che sono tornati indietro con lui in Europa. Ma gli esempi sono tanti: "Pillola blu" è un libro che racconta la vita dell'autore assieme alla fidanzata sieropositiva. La "Perdida" è un racconto on the road della vita degli americani in Messico oggi. Persepolis e Blankets sono due romanzi nati in nazioni lontane l'una dall'altra che raccontano due storie diverse ma simili: la religione imposta da una dittatura da una parte e una invece auto-imposta dalla società dall'altra. C'è l'imbarazzo della scelta e poi i fumetti come dicono i Uochi Toki sono più facili dei libri perché il disegno legato al testo facilita la funzione distruggendo la concezione di studio = sacrificio con la quale sei stato nutrito.

Ecco un'altra cosa che mi ha colpito. I fumettisti in tour. Anche fuori dalle fumetterie e dalle convention dei fumettofili. Io ti ho visto nell'atrio di un cinema e dentro una libreria affollata nel periodo prenatalizio. Sei stato un mattatore capace di attirare l'attenzione di molte persone con alcuni trucchetti simpatici ed efficaci. Insomma Hai studiato per fare queste presentazioni...? Anzi... come si presenta un fumetto...? Ri-anzi... com'è il tour di un fumettista?

Con l'abbonamento conoscevo persone che se le andavano in cerca, nel senso che erano persone curiose e che volevano leggere fanzine e molto spesso le facevano e disegnavano anche le loro storie. La libreria affollata nel periodo natalizio è stata veramente una bella presentazione, la gente continuava a scappare dalle sedie preparate in mezzo ai libri come le gocce di mercurio del termometro. Quando fai una presentazione del libro è meglio sempre stare in piedi. Se posso sedermi mentre ascolto uno che sta in piedi mi diverto molto di più. Se stiamo tutti a sedere mi sembra di stare in salotto con i miei genitori. Cerca di fare un cerchio intorno a te e quando qualcuno rompe il cerchio trova subito un sostituto a chiudere il cerchio. Di solito ci sono pochi momenti in cui tutti ti ascoltano, in quei due momenti devi dire le cose importanti. Funziona sempre tranne quando Marco Pecorari a sedere sul divano mi fa ridere e perdo il filo del discorso.

Eccoci arrivati a “Quando tutto diventò blu”. Che per prima cosa è un fumetto stampato in blu! Strano... vero? Già quel colore vuole dirci qualcosa oppure... insomma raccontaci.

L'idea del blu invece del nero l'ho vista tante volte nei fumetti che arrivano direttamente dal Giappone, li si usa per diversificare gli autori e le serie di fumetti. Nei manga per ragazze le storie sono sempre colorate con inchiostri differenti. Mentre in quelli maschili cambia il colore delle pagine. La prima scena del fumetto inizia sott'acqua, Omar disse che non era male provare a farlo tutto color blu. Per la tonalità di blu siamo andati avanti quasi un mese. Tra 301 uncoated e 294 uncoated. prove di stampa fatte in casa con stampanti di poca fede. Poi vinse il 294.

Sempre ad una delle tue presentazioni raccontavi di come l'idea della storia per questo nuovo albo ti sia arrivata per posta. Beate queste poste Baronciani...

Davvero? Ho detto che mi è arrivata per posta?

Le crisi d'ansia, il male di vivere, gli attacchi di panico… raccontati con un tocco delicato e leggero. Quasi a sfiorare argomenti che per chi li vive non hanno parole suoni colori... cose che tu hai messo su carta, blu su bianco. Come ti sei avvicinato alla materia?

È una domanda che ha bisogno di una risposta un po’ lunga. Diciamo che tutto è nato dalla voglia di raccontare, o meglio di fare una storia a fumetti di avventura. Sì perché secondo me, e anche leggendolo forse ci si accorge, gli attacchi di panico sono un pretesto. Una scusa per raccontare l'avventura di una ragazza che vuole portare avanti la sua storia e che combatte contro un disagio che è immerso dentro se stessa. Un po’ come se tu volessi iniziare qualcosa ma rimanendo fermo dentro casa perché hai paura di vedere cosa c'è fuori. Perché quello che vuoi raccontare è dentro te stesso.

Abbiamo parlato dei tuoi fumetti stampati in vario modo – ci dicono pure di un fumetto su stoffa... potrei parlarne anch’io... ma tu che dici a riguardo...

E invece mi piacerebbe che ne parlassi proprio tu! Con parole tue. Almeno sarebbe divertente raccontare la genesi del lavoro. Tra telefonate e chattate e incontri a Reggio Emilia durante l'autunno.

Carta fotocopiata, carta stampata, libro, rivista, stoffa... però poi c'è la contemporaneità e se non sei nella rete non sei mai stato compagno di classe di nessuno e quindi non puoi essere ricordato... insomma come stanno i fumetti su internet... non solo i tuoi... il tuo rapporto con la rete.

Stavo pensando a questa cosa dopo aver letto il blog di Claudio Nader: il problema dei fumetti in rete è che sono immagini e sono difficilmente trovabili attraverso i motori di ricerca. Esempio: se io dovessi cercare una frase in un blog potrei scriverla direttamente su google e con un po’ di tentativi riuscirei a ritrovarla. Una frase invece in un baloon dentro un fumetto in jpg dentro un blog non potrò mai rintracciarla.

Andrei a chiudere con un altro paio di domande. Come sta il fumetto italiano? Qualche nome per il futuro... e qualcuno che è il presente.

Mi piacciono molto i disegni di Elzevira, Lapis Niger che altro non è che Napo dei Uochi Toki, i Superamici ma loro cominciano ad essere bene avviati. Quest'anno ho fatto un corso di fumetti, il primo, ed è stato molto bello. Hanno iniziato in 25 e sono rimasti in 15. Secondo me li dentro ci sarà qualcuno che forse tirerà fuori qualche bella storia a fumetti tra qualche anno. per adesso abbiamo fatto una fanzine che si chiama Abitato. Verrà presentata a Bologna al festival Bilbolbul e poi a Pesaro.

Si potrebbe a lungo parlare del tuo rapporto con la musica. Sarebbe fin troppo facile citare il gruppo di cui sei cantate/chitarrista, gli Altro - che se non li conoscete sono la versione in note dei fumetti.. beh... no... sì... circa. Io voglio sapere delle copertine che realizzi... ho visto da poco il cigno realizzato per gli Afraid... bellissimo...

Fare la grafica per i dischi mi fa stare bene. Non si guadagna molto, ma è bellissimo. Sono rimasto innamorato della grafica prima con Dolcini. Grafico importante di Pesaro e poi con i dischi della 4ad, etichetta inglese seguita dagli esordi da Oliver Vaughan. Io seguo La Tempesta e la Holidays Records. La cosa più divertente non è avere carta bianca sulla grafica ma convincere gli altri, di solito il gruppo, che verranno dei dischi unici.

"Un Baronciani è per sempre" così mi ha detto un amico mostrandomi il tatuaggio che si era appena fatto. Potrebbe sembrare un argomento fuori luogo in questa intervista, ma visto che il disegno di quel tatuaggio era tuo... come ci si sente a vedere il proprio segno sulla palle di un'altra persona.

Forse mi sbaglio ma a dirtelo dovrebbe essere la stessa persona che seduta sul divano mi faceva perdere il filo del discorso a Bologna.